In parallelo alla guerra commerciale contro i partner che “maltrattano” le imprese Usa, Donald Trump ne ha avviata un’altra. Contro l’Internal revenue service, l’omologo statunitense dell’Agenzia delle Entrate. Da quando si è insediato alla Casa Bianca per il secondo mandato già 7mila dipendenti in prova sono stati lasciati a casa e poco meno di 5mila hanno accettato di dimettersi mantenendo lo stipendio fino a settembre. Ma è solo l’inizio: ora il Dipartimento per l’efficienza governativa su cui sovrintende Elon Musk, impegnato in una crociata contro gli statali “inutili”, ha deciso di eliminare entro metà maggio il 20% della forza lavoro che a inizio anno contava 100mila persone. Al netto di eventuali reintegri, visto che un tribunale ha già dichiarato illegittimi i licenziamenti annunciati da sei agenzie governative, secondo molti osservatori la decisione rischia di avere effetti dirompenti sulla lotta all’evasione e affossare le entrate fiscali federali. Nel 2023 l’Irs ha riscosso circa 4.700 miliardi di dollari, pari al 96% dei fondi che l’amministrazione impiega per finanziare le proprie operazioni e i servizi ai cittadini.

La Cnn ha intervistato diversi dipendenti dell’agenzia che fa capo al dipartimento del Tesoro. A un mese dal tax day del 15 aprile, deadline per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi, descrivono una situazione di panico e confusione, con funzionari in lacrime e personale di carriera intimidito da membri dello staff del Doge che “si presentano casualmente negli uffici delle persone chiedendo l’accesso ai sistemi”. Chi non si adegua è fuori: due giorni fa il presidente ha rimosso il chief counsel William Paul, capo del team dei consulenti legali che assistono il commissario dell’Irs sull’interpretazione delle norme fiscali e la loro applicazione. Secondo la stampa statunitense, la sua colpa è stata appunto opporsi alla condivisione di informazioni riservate su milioni di contribuenti con altre agenzie per consentire per esempio all’Homeland security di individuare potenziali immigrati clandestini. Al suo posto arriva Andrew De Mello, un avvocato che Trump durante il suo primo mandato aveva nominato ispettore generale del dipartimento dell’Istruzione.

Intanto l’amministrazione è senza numero uno: l’ex deputato repubblicano e banditore d’asta Billy Long, scelto da Trump come nuovo commissario lo scorso dicembre, non è mai stato nominato ufficialmente. È possibile che pesino le sue credenziali non proprio brillanti: quando sedeva al Congresso ha presentato un disegno di legge che puntava a fare tabula rasa del codice fiscale sostituendolo con una flat tax per tutti e i Democratici gli contestano la collaborazione con una società di consulenza che spingeva le società clienti a chiedere l’Employee retention credit, un credito di imposta riservato alle attività danneggiate dalla pandemia e poi sospeso dall’Irs per l’eccessivo numero di frodi. Danny Werfel, nominato da Joe Biden nel 2023, si è dimesso a fine gennaio e un mese dopo, di fronte ai primi tagli, il facente funzioni Doug O’Donnel ha chiesto di andare in pensione. Le redini le ha prese Melanie Krause, chief operating officer dell’agenzia, a cui ora la task force guidata da Musk chiede di far fuori 18.141 dipendenti.

Secondo il Budget Lab di Yale, sarà un boomerang: i mancati incassi fiscali saranno ben superiori ai risparmi ottenuti riducendo i lavoratori federali. L’anno prossimo, a fronte di 1,4 miliardi di maggiori uscite l’Irs raccoglierà stando a uno studio pubblicato giovedì 8,3 miliardi in meno, per un costo netto di 6,8 miliardi. Tra 2026 e 2035, per risparmiare 17,2 miliardi di stipendi lo Stato federale rinuncerà a 176,1 miliardi di gettito, con una perdita netta di 159 miliardi. Che salirebbe a quasi 350 miliardi nel caso la Casa Bianca voglia addirittura dimezzare la forza lavoro dell’Irs, come riportato dal New York Times all’inizio di marzo.

In attesa dei tagli e dei possibili trasferimenti di personale al dipartimento per la Sicurezza interna – la numero uno Kristi Noem ha chiesto rinforzi nella lotta contro l’immigrazione clandestina – l’impatto del nuovo corso è già evidente. Meno personale significa meno controlli, quindi meno deterrenza. “Incide sulla volontà delle persone di presentare la dichiarazione dei redditi in modo onesto”, ha spiegato un dipendente anonimo a Cnn. Funzionari del dipartimento del Tesoro hanno annunciato in parallelo la sospensione degli investimenti per ammodernare e potenziare l’agenzia finanziati durante l’amministrazione Biden. Il presidente democratico nel 2022 aveva inserito nell‘Inflation reduction Act uno stanziamento da 80 miliardi di dollari da destinare anche ad assunzioni con l’obiettivo di ridurre l’attuale tax gap, cioè l’evasione fiscale, stimata in circa 700 miliardi di dollari l’anno. I risultati stavano iniziando ad arrivare: lo scorso autunno l’amministrazione aveva annunciato di aver recuperato in meno di un anno 1,3 miliardi da contribuenti molto abbienti che non avevano presentato dichiarazione e milionari con ingenti debiti fiscali. Pare non sia più una priorità.

Del resto Trump subito dopo la rielezione ha sostenuto che invece che “tassare la nostra gente” è più opportuno creare un “External revenue service” a cui affidare la riscossione di dazi e altri diritti doganali da cui si attende un gettito sostanziale, sufficiente – stando alle promesse della campagna elettorale – per eliminare la tassa sui redditi. Il segretario al Commercio ha di recente ridimensionato l’obiettivo, dicendo che sarà cancellata solo per chi guadagna meno di 150mila dollari. I contorni dell’operazione non sono chiari. Intanto al Congresso il rinnovo del Tax cuts and jobs act, gli sgravi fiscali varati durante il primo mandato del tycoon, procede a fatica. Per rifinanziarli, la proposta di legge dei Repubblicani finirebbe per ridurre pesantemente i fondi a disposizione del programma sanitario federale Medicaid, che al momento gode del favore della maggior parte degli americani.

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