All’inizio dell’anno molti detenuti del Centro n. 6 per la riforma e la riabilitazione (nonostante il nome rassicurante e altisonante è un vero e proprio carcere, inaugurato nel 2023) della Città del decimo Ramadan hanno intrapreso uno sciopero della fame per chiedere la fine della privazione arbitraria della libertà e soprattutto delle crudeli condizioni di prigionia. Alla fine della protesta, almeno tre detenuti sono stati privati di tutti i loro effetti personali e sottoposti al cosiddetto taghriba (esilio interno), ossia trasferiti in prigioni le cui condizioni sono ancora peggiori e che distano centinaia di chilometri dai luoghi di origine, per rendere ancora più difficoltose e costose le visite dei parenti.

Uno dei tre, il 29 gennaio, ha ripreso lo sciopero della fame per protestare contro l’avvenuto trasferimento. Lo ha interrotto il 1° marzo, dopo il ricovero nell’ospedale del nuovo carcere. All’interno del Centro n. 6, gestito dalla famigerata Agenzia per la sicurezza nazionale, si trovano detenuti in attesa del processo da mesi. Sono costretti a stare 23 ore su 24 in cella e possono fare esercizio fisico solo un’ora in un corridoio interno, contrariamente agli standard internazionali e alla stessa normativa egiziana.

Salvo motivi eccezionali, le visite sono limitate a un incontro di sì e no mezz’ora al mese. Le donne in visita sono sottoposte a umilianti perquisizioni corporali e il cibo che portano ai loro parenti viene ispezionato dai secondini in modo anti igienico, senza usare guanti né lavarsi le mani.

C’è chi, come Anas al-Belgaty, detenuto da 11 anni solo per affiliazione familiare, non riceve visite dal giugno 2023.

Tra i detenuti c’è il noto fumettista Ashraf Omar. Nada Mougeeth, sua moglie, l’ha incontrato e ha riferito che non vede la luce del sole da più di sette mesi.

Un altro detenuto del sesto centro è l’economista Abdel Khalek Farouq. Ha protestato per il divieto di fare esercizio fisico all’aperto ed è stato minacciato di essere trasferito alla prigione di Sohag, a 500 chilometri di distanza.

Proprio per aver denunciato la situazione nel Centro n. 6, Hossan Bahgat, il direttore generale dell’Iniziativa egiziana per i diritti personali – tra le più autorevoli Ong per i diritti umani – è attualmente indagato per “diffusione di notizie false” e “assistenza e finanziamento a un gruppo terrorista”.

Il problema delle condizioni delle carceri egiziane non riguarda solo i Centri per la riforma e la rieducazione della Città del decimo Ramadan. Amnesty International ha svolto ricerche su 16 centri penitenziari in cui sono reclusi prigionieri di coscienza e prigionieri politici riscontrando prove di maltrattamenti e torture e di intenzionale diniego di cure mediche.

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