di Marco Bertolini
Prendo spunto dai recenti fatti di cronaca della Gintoneria e del suo proprietario Lacerenza per una riflessione sullo stato attuale del moderno capitalismo. E’ da ammirare un sistema in cui poche persone con disponibilità economiche elevatissime possano scialacquare centinaia di migliaia di euro in bottiglie di champagne dal costo spropositato, in cocaina, in prostitute di alto bordo, osannate da tante persone che alla fine del mese faticano ad arrivare? Lacerenza è in buona compagnia e se ripensiamo ai fatti di cronaca sono sempre di più i casi in cui ricchi facoltosi, a volte nati dal nulla a volte arricchitisi con mezzi poco leciti, si trovano a sperperare quantità di denaro spropositate in orologi, casinò, pietanze di oro ricoperte.
Potrei essere tacciato di invidia sociale, ma la mia non vuole essere una critica alla ricchezza in sé e per sé, alla giusta ricompensa per chi si è messo in gioco, ha avuto idee brillanti e ha messo in piedi imprese che danno lavoro a tante persone. Vuole essere più che altro una riflessione per capire se questi comportamenti non siano invece un campanello d’allarme sullo stato di salute del nostro sistema economico. Le ricchezze spropositate sono sempre esistite, ma forse ci siamo scordati che c’è stato un periodo storico, dopo la seconda guerra mondiale, in cui si è cercato di evitare che queste potessero eccedere livelli compatibili con la situazione economica della maggior parte della gente e che, ponendo dei limiti, le stesse venissero redistribuite tra tutti i cittadini. Poco se ne parla, ma fino agli anni ’80 le aliquote progressive sui redditi potevano raggiungere il 70-80% nei paesi occidentali e anche quelle sui guadagni da investimenti erano enormemente superiori a quelle attuali.
Tutto questo non era considerato osceno e poteva garantire il giusto riconoscimento per l’intraprendenza di alcuni e soddisfare al contempo le necessità della maggior parte di noi. Non a caso si è assistito ai vari boom economici, alla nascita dello stato sociale, della sanità universale e di tante altre conquiste che stiamo via via perdendo e che ci hanno permesso di raggiungere un livello di benessere mai visto prima (per i paesi del primo mondo; sullo sfruttamento di quelli del terzo ci sarebbe da aprire una parentesi troppo grande).
Con gli anni 80 è crollato tutto. Ogni freno agli squilibri è stato picconato con una martellante campagna in nome del neoliberismo e della storiella che se la torta fosse cresciuta tutti ne avrebbero avuto più da mangiare. Sappiamo che le cose non sono andate così. Attualmente, le aliquote progressive sono estremamente più basse di una volta e si aggirano al massimo intorno al 50% sui redditi da lavoro e al 30% su quelli da investimenti. Senza considerare che tra scappatoie fiscali, strategie di elusione legale e paradisi fiscali, spesso i più ricchi o ricchissimi pagano poco o nulla.
Non so quanto le cose possano continuare in questo modo ancora per molto. Gli squilibri continuano ad aumentare talmente velocemente che una crisi sistemica come quella degli anni ’30 potrebbe davvero essere alle porte. Io, personalmente, auspico che si torni quanto prima ad un sistema che possa moderare la ricchezza e che contribuisca alla sua redistribuzione, un sistema che possa tornare ad “invidiare” non i Lacerenza, ma i grandi capitalisti come Olivetti e che possa vedere il moltiplicarsi di imprenditori illuminati come Brunello Cucinelli. Gli sprechi, gli eccessi, gli stravizi che vediamo ogni giorno non sono solo l’insulto osceno per chi faticosamente cerca di sopravvivere in questo mondo (e che in fondo è quello che finanzia tutto il sistema con il suo sudore quotidiano), ma sono la manifestazione palese di un sistema che sta andando dritto dritto a schiantarsi contro un muro. Ripeto, non è questione di invidia sociale, mi pare più che altro semplice realismo economico-sociale.