Le Case di comunità? Piccole isole nel deserto: senza medici e sanitari. Questo è il post Covid?

Sono stato fortunato. Non ho avuto nessun parente e nessun amico morto per il Covid. Io stesso, facendo l’oculista a pochi centimetri dalla bocca dei pazienti, sono stato colpito nella fase calante dell’epidemia ed è stato, veramente, poco più di una influenza.
L’unico amico che ho perso è stato il dottor De Donno che ha deciso di togliersi la vita per l’abbandono sociale per una terapia con il sangue iperimmune che è stata determinante per alcune persone anche in situazioni disperate. Lo avevo sentito telefonicamente pochi giorni prima. Combattivo ma isolato ormai. La montagna lo aveva travolto e nessuno voleva arginare il precipizio.
Sono passati cinque anni da quel periodo e tutti vogliono dimenticare anche perché il mondo deve affrontare ben altri tipi di guerre sparse a leopardo. Guerre sicuramente causate dall’uomo per il potere soggettivo e nazionale. I giornali, abituati agli scoop, ormai hanno posto non più in prima pagina la guerra virale che ancora oggi non conosciamo se è stata in qualche modo favorita dall’uomo in quella piccola cittadina della Cina che tutti abbiamo imparato a conoscere.
Ma il Covid avrebbe potuto aiutarci nel migliorare quella sanità che, sempre più in mano ai privati, si è trovata spiazzata di fronte ad una emergenza-urgenza senza uguali. La mancanza del piano pandemico, di zamboniana memoria, ha fatto il resto. Ha permesso al virus di invaderci e di colpirci con armi pesanti. Senza difesa.
Ed in questi cinque anni cosa abbiamo fatto? Niente. Non abbiamo fatto niente nemmeno di quello che avremmo potuto con soldi presi in prestito che dovevano essere investiti proprio in sanità. In salute dei cittadini. Non abbiamo fatto nulla nemmeno di idee sulle quali non sono d’accordo come le Case di Comunità. Piccole città nel deserto sguarnite di qualunque “negozio” che possa portare ad acquistare una diagnosi certa, ed una conseguente terapia, ad avventori in cerca di un traguardo che si perde nella fitta nebbia.
Così leggo, spinto da una collega pneumologa la dott.ssa Antonella Robbiani che lo ha letto prima di me, proprio di uno studio pubblicato sul Sole 24 Ore.
Appena 46 sono le Case di Comunità veramente attive su 1717 programmate con i soldi del Pnrr con grande diversità fra nord e sud confermando quella mancanza assoluta di coordinamento nazionale che ridurrebbe i costi. Credo da tempo infatti che quell’accordo stato-regioni debba essere costituzionalmente rivisto certamente per quanto riguarda la sanità se volessimo raggiungere una vera parità di cure nazionali come recita l’articolo 32 della nostra Costituzione.
Nello stesso lavoro si denuncia l’abbandono delle Case da parte dei medici e del personale sanitario. Isole nel deserto. Tutto questo a 15 mesi dalla scadenza del Pnrr nel giugno del 2026.
Sono sempre più certo che si sarebbe potuto fare meglio, come dico da anni, allocandole in reparti ospedalieri pubblici o privati di Medicina del Territorio ed avremmo avuto già i primi medici del territorio, laureati in cinque anni, da rendere dipendenti statali, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, in tutte le regioni italiani per poter fare il primo filtro utile agli specialisti specifici ed alla buona salute di tutti.
Non possiamo perdere la memoria ma, nel contempo, dobbiamo avere la speranza che qualcuno capisca e diffonda in quel “mercato delle donne” così radicato come legge di comunicazione. Solo parlandone, ed ascoltando il parlare, si potrà, forse, raggiungere l’obbiettivo del bene comune.
In questa ottica vi chiedo di partecipare sabato 22 marzo alle 17,30 alla commemorazione delle vittime del Covid che si terrà nel sito comunale di Pedrengo in provincia di Bergamo. Noi per loro, quelli che ci hanno lasciato, per continuare un percorso per tutti. Io ci sarò e se riuscirò farò una diretta FB per quelli che sono lontani. Gli altri possono sedere sulle poltrone ed ascoltare. E’ tutta vita. Io porrò delle domande, se potrò, per poter avere una luce in fondo al tunnel che non sia quella di un camion che ci travolge. Vi aspetto.
Sono stato fortunato. Non ho avuto nessun parente e nessun amico morto per il Covid. Io stesso, facendo l’oculista a pochi centimetri dalla bocca dei pazienti, sono stato colpito nella fase calante dell’epidemia ed è stato, veramente, poco più di una influenza. L’unico amico che ho perso è stato il dottor De Donno che ha […]