Tutte le mattine, a Prima Pagina, Rai Radio 3, un giornalista legge i giornali dalle 7.15 alle 8 e, fino alle 8.40, gli ascoltatori intervengono. In questi giorni un signore ha detto che i politici non guidano più i loro elettori, dettando una linea; oggi, si è lamentato, i politici assecondano gli elettori, rappresentandone pregi e difetti. Il giornalista si è dichiarato d’accordo e ha parlato di De Gasperi e Togliatti.
Penso al militante del Pci, interpretato da Maurizio Ferrini, col suo: Non capisco ma mi adeguo. Gli elettori, allora, si fidavano dei loro leader e cercavano di adeguarsi al loro pensiero: non capivano il politichese, ma si fidavano. Con Mani Pulite fu chiaro che la classe politica stesse spolpando il paese: venute meno le fedi (demo)cristiana e comunista, la Lega cavalcò l’indignazione popolare con lo slogan Roma Ladrona. Il vuoto politico lasciato da Mani Pulite fu colmato da Silvio Berlusconi, sodale di Bettino Craxi, fuggito in Tunisia per sottrarsi alla galera. Berlusconi assecondò i benpensanti e adoperò i sondaggi e le televisioni per acquisire consenso; era un pubblicitario, uso a fare promesse mirabolanti per vendere la loro merce e, con lui, la politica diventò un prodotto.
Se i sondaggi dicono che le tasse sono troppo alte, non si cerca di spiegare perché, come fece Padoa Schioppa con la sua le tasse sono una cosa bellissima, li si asseconda: meno tasse per tutti. Così ognuno dice: vedi che ho ragione? Berlusconi sì che ragiona bene, la pensa come me! Ed ecco il cambio di paradigma: il politico si adegua agli elettori, e non viceversa. Ora faccio il Padoa Schioppa e spiego l’ovvio: le tasse sono la “cassa comune” con cui la società si fa carico dei bisogni comuni. Si dà per scontato che ci debba pensare lo stato, senza considerare che pensarci significa impiegare risorse che derivano da quanto tutti contribuiscono alla “cassa comune”, come prevedono la Costituzione e la logica.
I diritti che lo stato deve soddisfare sono pretesi, ma i doveri no (vedi l’oscenità dell’evasione fiscale). Uno statista dovrebbe spiegarlo ai propri elettori, mettendoli in grado di adeguare la loro limitata comprensione della realtà alle necessità di gestione della cosa comune. Un politicante, invece, asseconda gli elettori nelle loro convinzioni. Berlusconi, poi, credeva davvero a quel che affermava, non a caso è stato condannato per frode fiscale. L’elettore smaliziato pensa: forse mente, ma se dovesse dire anche una parte di verità la sua proposta di ridurre le tasse sarà sempre più accettabile di quella di chi mi dice che “devo pagare”. Il resto della politica si adeguò.
“Pubblico” diventò una brutta parola, “privato” fu la soluzione. Le privatizzazioni degli asset strategici, realizzati con fondi pubblici, furono promosse da politici che si dichiaravano di sinistra, da D’Alema a Prodi. Ingenuamente, allora, mi aspettavo che la sinistra si prefiggesse di far funzionare bene il pubblico. Invece no. Risultato: gli asset strategici vanno in malora, i privati si arricchiscono: perdite pubbliche, guadagni privati. Ora tocca alla sanità. Per i disastri climatici non ci sono più soldi, dice il ministro della Protezione Civile, se volete mettervi al sicuro… assicuratevi. Un attimo dopo i soldi si trovano per le armi, con grande soddisfazione di chi le fabbrica.
Beppe Grillo, un comico come Zelensky, intercettò il malcontento di chi voleva qualcosa di diverso dalla solita offerta politica. Nei suoi spettacoli denunciò le malefatte del pubblico e del privato: scandali, corruzione, inefficienza, truffe (da Parmalat a Cirio), pose la questione ambientale e propose la sostenibilità. Non seguì il sentire della “gente”, lo determinò. Denunciava le assurdità facendo il giullare che deride il potere. Poi capì che con la rete poteva raggiungere le persone, soprattutto i giovani, bypassando televisione e giornali, oramai in mano al “potere”. E coniò uno slogan semplice: vaffanculo! Seguì il consiglio di Fassino e si presentò alle elezioni. Identificare i problemi è il primo passo, ma poi ci vogliono le soluzioni. Confesso di essere rimasto sbalordito quando Giuseppe Conte, dopo aver gestito in modo eroico la pandemia, tornò da Bruxelles con il Pnrr avendo fatto accettare proposte che tutti ritenevano impossibili da accettare. Fu fatto cadere, soppiantato da Draghi che, fingendosi un grillino, fece fesso Grillo, che accettò come ministro della Transizione ecologica chi ora guida una fabbrica di armi.
All’opposizione a Draghi rimase solo Giorgia Meloni, che fece promesse mirabolanti in campagna elettorale. Ancora una volta assecondando il “sentire” degli italiani, “montato” dai media che in modo martellante ci convincono che i problemi sono, di nuovo, le tasse (il pizzo di stato) e, ovviamente, i migranti, da respingere con blocchi navali e deportazioni. Se Berlusconi assecondò il sentire degli italiani, Meloni lo esaspera. Che poi non mantenga è un dettaglio irrilevante: sono “gli altri” che non le permettono di fare quel che ha promesso. La maggioranza diventa sempre più silenziosa, tanto che non si esprime.
La democrazia mantiene le sue promesse e rispecchia pienamente il sentire di chi la esercita. Nel frattempo Schlein sta serena: il Pd è saldamente in mano sua. La piazza di Michele Serra, intanto, è come il giocatore di roulette che punta la stessa cifra sia sul rosso sia sul nero. Si vince sempre!, come dicevano gli imbonitori alle fiere di paese.