Se davvero si realizzerà, il riarmo europeo seppellirà il sogno dei padri fondatori dell’Ue

Se davvero si realizzerà, il riarmo europeo seppellirà il sogno dei padri fondatori della Unione. Al di là delle citazioni di comodo, il “riarmo europeo” risuonerebbe loro come un funesto ossimoro.
L’Europa unita è stata fondata sull’assioma della pace. L’Europa riarmata corre invece forti pericoli di implosione che, a loro volta, potrebbero innescare guerre intra-europee high-tech. Il vortice del riarmo richiede un continuo rinnovo degli arsenali e, se prudono le mani, qualcuno prima o poi schiaccia il grilletto.
Ai bellicosi satrapi europei non farebbe male un bagno di realtà. Un recente articolo del Financial Times afferma che nessun francese, spagnolo [e italiano, nda] sacrificherebbe i propri figli per coronare il sogno cullato da Zelensky e Kallas di frantumare la grande madre Russia in staterelli docili e malleabili.
Anche se gli europei sembrano accettare supinamente il riarmo senza rivendicare il rispetto dei fondamentali della democrazia, non è detto che si trasformino in fedeli soldatini. Per ricostruire lo spirito bellicoso nei giovani europei, non bastano cinque generazioni. Dalla generazione dei baby-boomers in poi —X, Millennials, Centennials, Screenagers— la percezione della guerra si è trasformata. Da nemico da contestare, la guerra è diventata argomento cinematografico, gioco di società, videogioco, incubo dematerializzato e incontrollabile. Ritornare al futuro dell’ardore bellico — quello che mostrò la generazione perduta — non è uno scherzo, anche se la disinformazione orchestrata dall’intelligenza artificiale è capace di produrre accelerazioni un tempo impensabili.
Neutralità e disarmo, per contro, potrebbero aprire un diverso futuro all’Europa. Svezia, Finlandia e Svizzera sono stati esempi di equilibrio nel bellicoso continente europeo degli ultimi tre secoli. L’Europa potrebbe ispirarsi alla loro lezione per ricostruire il proprio ruolo a livello globale.
In Svezia, politica estera — detta la politica del 1812 — fu inaugurata da Jean Baptiste Bernadotte, principe ereditario. Questa dottrina era in netto contrasto con la precedente politica estera della Svezia, coinvolta in molti conflitti non sempre vittoriosi, specialmente con il suo arcinemico storico, la Russia. La neutralità svedese scaturì quale strategia di sopravvivenza piuttosto che da una illuminazione ideale, dopo il trattato di Fredrikshamn con cui la Svezia cedette la Finlandia alla Russia (1809).
L’analisi tra benefici e costi della neutralità svedese indica però la netta prevalenza dei primi in termini di benessere collettivo, sviluppo economico e crescita culturale negli ultimi 200 anni. Ho qualche dubbio che gli stessi risultati saranno garantiti dal rigurgito dei sentimenti russofobi con cui il paese ha tradito due anni fa la dottrina Bernadotte.
La Finlandia è un paese più vasto dell’Italia ma con una popolazione pari a quella della Campania. Per secoli, la geopolitica finlandese è stata dettata da fuori, da Svezia e Russia. Una vera neutralità autonoma emerse solo dopo la seconda guerra mondiale, in una forma particolare: un compromesso pragmatico criticato da taluni come neutralità sotto pressione, nato dalla guerra fredda. In tal modo, la Finlandia ha mantenuto uno stretto legame con il mercato occidentale e aderito alla Unione Europea senza esplicite alleanze militari. Con l’ingresso nella Nato del 2023, il paese ha rotto questa tradizione. E solo vivendo potremmo sapere se chi lo ha deciso ha fatto il bene del proprio popolo.
Una delle più antiche politiche di neutralità militare del mondo è quella svizzera. Fu riconosciuta ufficialmente dal Trattato di Parigi del 1815, dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo. Essa risale all’indomani della battaglia di Merignano (1516) e fu poi sancita anche dalla pace di Westfalia (1648). La Svizzera è all’apice di tutte le graduatorie di welfare, assetto ambientale, ricchezza, perfino uguaglianza sociale, basate sulle statistiche oggi di moda. Con l’inizio della guerra ucraina, questa attitudine era vacillata, aderendo senza se e senza ma alle sanzioni occidentali contro la Russia; il successivo passo indietro ha invece posto qualche se e parecchi ma.
Potrebbe l’Europa conseguire qualche vantaggio dalle virtù della neutralità? E trarre qualche insegnamento dalle diverse declinazioni storiche di neutralità per costruire la propria neutralità militare in futuro? Sarebbe una decisione diametralmente opposta al riarmo. E sarebbe una decisione saggia. Non si tratta di abolire l’esercito come fece il Costa Rica nel 1949, ma adottare un modello di difesa appropriato, assieme a politiche consapevoli.
Per esempio, l’Europa potrebbe imparare dai concetti di neutralità armata, difesa decentralizzata, sistema partecipativo cittadino-soldato, “hedgehog defence” che hanno permesso al porcospino svizzero di consolidare la propria neutralità in Europa. È un modello certamente meno dispendioso del modello attuale, che spende il doppio del fanta-nemico russo e schiera più di un milione e mezzo di armati già adesso (Fig.1). Ed è un modello forse più efficace a fronte della impossibile rincorsa alla proliferazione nucleare.
Sia il nemico russo, sia l’antipatico amico amerikano dispongono di arsenali nucleari incommensurabili. E perfino i Brics, anche senza la Russia, sono assai più ferrati dell’Europa nel campo della deterrenza nucleare.
L’Europa dovrebbe seguire la lezione di Pietro Calamandrei: “Per voler la pace non c’è altra via che quella di prepararla coi trattati di commercio e di lavoro, che stringono tra gli uomini legami di solidarietà; e chi prepara la guerra, anche a fini che crede difensivi, non fa altro, senza accorgersene, che volere la guerra”. E la neutralità militare è la via maestra per l’Europa, la cui popolazione nel 2050 non supererà il quattro percento della popolazione della Terra.
Quando scrisse 1984 — insinuando l’incubo del Grande Fratello nei nostri sogni più inquieti — George Orwell voleva trasmettere all’umanità un severo monito, un grido di allarme. Non voleva certo pubblicare il manuale di istruzioni al quale la Commissione Europea si è ispirata negli ultimi anni. E che ha ispirato il Libro Bianco sul futuro della difesa europea, appena approvato; un libro dell’orrore che vi consiglio di leggere per intero, con le dovute precauzioni da parte degli stomaci deboli.
L’Europa neutrale, disarmata e pacifica può fornire al mondo globale — più o meno globalizzato — un contributo indispensabile alla pacifica e sostenibile convivenza sul pianeta. E, se la Svizzera non è una opinione, l’Europa potrebbe sviluppare un modello di società del benessere individuale e collettivo non affatto disprezzabile, in tutta sicurezza.
Per contro, il riarmo è alimentato da una idea di suprematismo europeo che non ha riscontro nella realtà, prima ancora di essere il frutto ideologico di una mitologia superata. La strada di non ritorno che conduce al definitivo declino dell’Europa occidentale.