“A quanto caldo andiamo incontro? Mortale, insostenibile, difficile ma sostenibile?”. E ancora, a seguire: “Come riusciremo a spostarci? Come faremo a comunicare? A farci luce? A riscaldarci? E naturalmente, questione vitale: come ci nutriremo?”. A porsi queste queste domande fondamentali non è però né un climatologo, né uno scienziato ma la scrittrice francese Fred Vargas, in un libro sul cambiamento climatico che segue il primo sullo stesso tema (L’umanità in pericolo, Einaudi) e che è stato appena tradotto in Italia: Un nuovo modo di vivere Affrontare l’aumento delle temperature e il declino delle energie fossili (sempre Einaudi).
Il volume si basa interamente su basi scientifiche ed è incentrato “sul picco e il declino dei tre idrocarburi – petrolio, gas, carbone – principali responsabili del riscaldamento sulla terra” e sulle conseguenze di questo declino sul piano pratico ed economico, visto che “ogni punto percentuale in meno nel petrolio colpisce proporzionalmente al ribasso il Pil e l’intera economia”. Perché, secondo Vargas, il problema è che, se da un lato dobbiamo per forza decarbonizzare, dall’altro, ad esempio “l’elettricità non spingerà mai una potente nave mercantile né farà mai volare un aereo”.
I media si concentrano sugli scenari apocalittici
Lo stupore di Vargas nasce nel constatare che la risposta alle sue domande iniziali non si trova nei rapporti delle agenzie e società (pubbliche e private), incaricate di proporre prospettive sulla vita futura e di modellare gli scenari da qui al 2050. Questi specialisti, a suo dire, giungono a soluzioni di fatto inapplicabili nella realtà e irrealistiche, e generalmente tutte simili. Quasi sempre infatti si opta, nella comunicazione dei vari scenari possibili, per il peggiore, l’ipotesi estrema, “giustamente definita apocalisse, senza mai spendere una parola sugli altri casi possibili”. Questo rispecchia la tendenza dei media a concentrarsi sulle catastrofi e sui temi che spaventano, forse perché, nota l’autrice, fanno vendere di più, aumentando il senso di impotenza.
I quattro scenari e le loro conseguenze
Vargas cita apertamente e per tutto il volume il quinto Rapporto dell’Ipcc (il sesto è uscito dopo la pubblicazione francese, ndr). Si tratta di uno scenario basato sulla totale assenza di sforzi per ridurre i gas e su una ricerca sfrenata del “business as usual”. Ma questo scenario, nota Vargas, è del tutto irrealistico. L’Ipcc descrive anche uno scenario più moderato, che si basa su una riduzione progressiva volontaria dei gas serra a partire dal 2020. L’autrice sottolinea purtroppo che poiché l’umanità, “con sconsideratezza e avidità”, ha emesso tra il 2015 e il 2019 una tale quantità di gas serra, aumentando la loro concentrazione in atmosfera, di fatto ha praticamente annullato l’Accordo di Parigi e sta mancando la possibilità di centrare questo scenario.
Un terzo scenario colloca invece l’inizio della decrescita dei gas serra nel 2050, il che porterebbe nel 2100 a temperature molto critiche sulle terre emerse. Questo scenario è suscettibile di raggiungere una temperatura globale massima di +2,6° C (rispetto al periodo 1986-2005, ma di +3,2° C rispetto al 1900) e alla fine del secolo avrebbe un impatto su un quarto del globo, mettendo in pericolo metà della popolazione mondiale. Il quarto scenario è ancora più drammatico, ipotizza infatti un aumento fino a un massimo di +3,1° C nel 2081-2100 (rispetto al periodo 1986-2005, ma fino a +3,7° C rispetto al 1900) e prevede l’inizio della decrescita dei gas serra nel 2080, portando a temperature molto pericolose con possibilità di adattamento dell’umanità più che incerte.
In mezzo al guado: né scenario peggiore né migliore
Dove si colloca dunque l’umanità? Il primo scenario, il peggiore, un aumento di 5,7° C (rispetto al periodo 1986-2005), è improbabile che si possa verificare – spiega Vargas – perché “in nessun caso nel corso di questo secolo disporremo di quantità di idrocarburi tali da realizzarlo”. Mancano cioè i combustibili fossili futuri sufficienti a garantire una continuazione senza freni della crescita per come la conosciamo.
Lo scenario più ottimistico è escluso per ragioni opposte, ovvero l’eccesso di emissioni tra il 2015 e il 2019 e il ritardo nell’applicare la loro riduzione. Restano dunque gli scenari intermedi. In quale dei due siamo, si chiede Vargas? Secondo l’Ipcc, il terzo scenario ci porterebbe, con una riduzione delle emissioni di gas serra a partire dal 2050, a una temperatura media globale di +2,3° C/+2,4° C entro il 2100 (rispetto al 1900), e quindi a circa +3,2° C/+3,6° C sulle terre emerse. Tuttavia questo scenario appare eccessivamente estremo se si considerano il declino e la fine delle tre principali fonti di energia fossile, che – secondo Vargas – sarà più rapido e anticipato, così come quello di gas e carbone. “L’Agenzia Internazionale dell’Energia pone il declino del petrolio a partire dal 2025, il che significa che ne resterà progressivamente sempre meno da estrarre, con una riduzione progressiva dei gas serra; la stabilizzazione delle temperature inizierebbe nel 2055. Questo significherebbe, a questa data, un aumento della temperatura media globale di circa 1,9° C rispetto al 1900, e +2,67° C, risultato che la stessa Vargas definisce sovrastimato: l’esito sarà probabilmente inferiore a +1,7° C nel 2055, o prima, e inferiore a +2,38° C sulle terre emerse.
Si tratta dunque di un aumento della temperatura media non conforme all’Accordo di Parigi o “ben al di sotto di 2 gradi”, ma neanche così lontano.
La crisi dei beni in un’epoca senza combustibili fossili
Una notizia positiva? Sicuramente sì, ma non priva di risvolti negativi. Sarà infatti, secondo Vargas, uno sconvolgimento che ci proietterà in un altro mondo e uno stile di vita rispetto al quale siamo impreparati, ma “essenzialmente vivi, anche se mancanti di beni di prima necessità”.
Infatti, se da un lato della riduzione futura delle emissioni c’è da rallegrarsi dall’altro il crollo del petrolio comporterà il crollo dei trasporti, delle industrie, delle aziende, delle attività commerciali, disoccupazione, povertà, difficoltà di distribuzione dei generi alimentari e dei prodotti, mancanza di beni essenziali. Il che, forse, ci spingerà (forse) a un minor individualismo e a una maggiore solidarietà.
Ma quanto è realistica l’analisi di Vargas? “Condivido gli inviti volti a un aumento della resilienza per un futuro con diminuzione dei combustibili fossili”, spiega il climatologo Luca Mercalli. “Tuttavia non prenderei gli scenari dell’Ipcc con la precisione del decimo grado, visto che sono ordini di grandezza, ma anche 2-3 gradi in più rischiano di consegnarci a un pianeta ostile; e soprattutto sottolineo il fatto che nessuno conosce la possibilità di attivazione dei punti di non ritorno, quindi potrebbe verificarsi uno ‘scenario peggiore’ inedito anche con aumenti termici più limitati”. “Insomma”, continua Mercalli, “È vero che probabilmente non c’è abbastanza materiale fossile per far aumentare la CO2 come dice Ipcc nel worst case, ma nessuno conosce l’effetto di combinazione multipla di varie crisi (policrisi), se non che porterebbero a conseguenze mai viste. Insomma, tutto suggerisce la prudenza nell’interagire con i delicati meccanismi planetari, indipendentemente dal sindacare su un decimo di grado in più o in meno: inoltre il libro è stato scritto prima della retromarcia sul clima di Trump”. In sintesi, conclude il climatologo, “avremo tutti e due i problemi: riscaldamento globale ed esaurimento dei combustibili fossili. Uno non deve coprire l’altro, ma non possiamo non ricordare che risolvendone uno (con le energie rinnovabili), si risolve anche l’altro”.
Ambiente & Veleni
Vivi, ma impreparati e privi di beni di prima necessità: secondo Fred Vargas, il futuro è un nuovo modo di vivere
La scrittrice francese, in libreria con un nuovo libro sul cambiamento climatico, si pone una serie di domande e immagina possibili scenari
“A quanto caldo andiamo incontro? Mortale, insostenibile, difficile ma sostenibile?”. E ancora, a seguire: “Come riusciremo a spostarci? Come faremo a comunicare? A farci luce? A riscaldarci? E naturalmente, questione vitale: come ci nutriremo?”. A porsi queste queste domande fondamentali non è però né un climatologo, né uno scienziato ma la scrittrice francese Fred Vargas, in un libro sul cambiamento climatico che segue il primo sullo stesso tema (L’umanità in pericolo, Einaudi) e che è stato appena tradotto in Italia: Un nuovo modo di vivere Affrontare l’aumento delle temperature e il declino delle energie fossili (sempre Einaudi).
I media si concentrano sugli scenari apocalittici
Lo stupore di Vargas nasce nel constatare che la risposta alle sue domande iniziali non si trova nei rapporti delle agenzie e società (pubbliche e private), incaricate di proporre prospettive sulla vita futura e di modellare gli scenari da qui al 2050. Questi specialisti, a suo dire, giungono a soluzioni di fatto inapplicabili nella realtà e irrealistiche, e generalmente tutte simili. Quasi sempre infatti si opta, nella comunicazione dei vari scenari possibili, per il peggiore, l’ipotesi estrema, “giustamente definita apocalisse, senza mai spendere una parola sugli altri casi possibili”. Questo rispecchia la tendenza dei media a concentrarsi sulle catastrofi e sui temi che spaventano, forse perché, nota l’autrice, fanno vendere di più, aumentando il senso di impotenza.
I quattro scenari e le loro conseguenze
Vargas cita apertamente e per tutto il volume il quinto Rapporto dell’Ipcc (il sesto è uscito dopo la pubblicazione francese, ndr). Si tratta di uno scenario basato sulla totale assenza di sforzi per ridurre i gas e su una ricerca sfrenata del “business as usual”. Ma questo scenario, nota Vargas, è del tutto irrealistico. L’Ipcc descrive anche uno scenario più moderato, che si basa su una riduzione progressiva volontaria dei gas serra a partire dal 2020. L’autrice sottolinea purtroppo che poiché l’umanità, “con sconsideratezza e avidità”, ha emesso tra il 2015 e il 2019 una tale quantità di gas serra, aumentando la loro concentrazione in atmosfera, di fatto ha praticamente annullato l’Accordo di Parigi e sta mancando la possibilità di centrare questo scenario.
Un terzo scenario colloca invece l’inizio della decrescita dei gas serra nel 2050, il che porterebbe nel 2100 a temperature molto critiche sulle terre emerse. Questo scenario è suscettibile di raggiungere una temperatura globale massima di +2,6° C (rispetto al periodo 1986-2005, ma di +3,2° C rispetto al 1900) e alla fine del secolo avrebbe un impatto su un quarto del globo, mettendo in pericolo metà della popolazione mondiale. Il quarto scenario è ancora più drammatico, ipotizza infatti un aumento fino a un massimo di +3,1° C nel 2081-2100 (rispetto al periodo 1986-2005, ma fino a +3,7° C rispetto al 1900) e prevede l’inizio della decrescita dei gas serra nel 2080, portando a temperature molto pericolose con possibilità di adattamento dell’umanità più che incerte.
In mezzo al guado: né scenario peggiore né migliore
Dove si colloca dunque l’umanità? Il primo scenario, il peggiore, un aumento di 5,7° C (rispetto al periodo 1986-2005), è improbabile che si possa verificare – spiega Vargas – perché “in nessun caso nel corso di questo secolo disporremo di quantità di idrocarburi tali da realizzarlo”. Mancano cioè i combustibili fossili futuri sufficienti a garantire una continuazione senza freni della crescita per come la conosciamo.
Lo scenario più ottimistico è escluso per ragioni opposte, ovvero l’eccesso di emissioni tra il 2015 e il 2019 e il ritardo nell’applicare la loro riduzione. Restano dunque gli scenari intermedi. In quale dei due siamo, si chiede Vargas? Secondo l’Ipcc, il terzo scenario ci porterebbe, con una riduzione delle emissioni di gas serra a partire dal 2050, a una temperatura media globale di +2,3° C/+2,4° C entro il 2100 (rispetto al 1900), e quindi a circa +3,2° C/+3,6° C sulle terre emerse. Tuttavia questo scenario appare eccessivamente estremo se si considerano il declino e la fine delle tre principali fonti di energia fossile, che – secondo Vargas – sarà più rapido e anticipato, così come quello di gas e carbone. “L’Agenzia Internazionale dell’Energia pone il declino del petrolio a partire dal 2025, il che significa che ne resterà progressivamente sempre meno da estrarre, con una riduzione progressiva dei gas serra; la stabilizzazione delle temperature inizierebbe nel 2055. Questo significherebbe, a questa data, un aumento della temperatura media globale di circa 1,9° C rispetto al 1900, e +2,67° C, risultato che la stessa Vargas definisce sovrastimato: l’esito sarà probabilmente inferiore a +1,7° C nel 2055, o prima, e inferiore a +2,38° C sulle terre emerse.
Si tratta dunque di un aumento della temperatura media non conforme all’Accordo di Parigi o “ben al di sotto di 2 gradi”, ma neanche così lontano.
La crisi dei beni in un’epoca senza combustibili fossili
Una notizia positiva? Sicuramente sì, ma non priva di risvolti negativi. Sarà infatti, secondo Vargas, uno sconvolgimento che ci proietterà in un altro mondo e uno stile di vita rispetto al quale siamo impreparati, ma “essenzialmente vivi, anche se mancanti di beni di prima necessità”.
Infatti, se da un lato della riduzione futura delle emissioni c’è da rallegrarsi dall’altro il crollo del petrolio comporterà il crollo dei trasporti, delle industrie, delle aziende, delle attività commerciali, disoccupazione, povertà, difficoltà di distribuzione dei generi alimentari e dei prodotti, mancanza di beni essenziali. Il che, forse, ci spingerà (forse) a un minor individualismo e a una maggiore solidarietà.
Ma quanto è realistica l’analisi di Vargas? “Condivido gli inviti volti a un aumento della resilienza per un futuro con diminuzione dei combustibili fossili”, spiega il climatologo Luca Mercalli. “Tuttavia non prenderei gli scenari dell’Ipcc con la precisione del decimo grado, visto che sono ordini di grandezza, ma anche 2-3 gradi in più rischiano di consegnarci a un pianeta ostile; e soprattutto sottolineo il fatto che nessuno conosce la possibilità di attivazione dei punti di non ritorno, quindi potrebbe verificarsi uno ‘scenario peggiore’ inedito anche con aumenti termici più limitati”. “Insomma”, continua Mercalli, “È vero che probabilmente non c’è abbastanza materiale fossile per far aumentare la CO2 come dice Ipcc nel worst case, ma nessuno conosce l’effetto di combinazione multipla di varie crisi (policrisi), se non che porterebbero a conseguenze mai viste. Insomma, tutto suggerisce la prudenza nell’interagire con i delicati meccanismi planetari, indipendentemente dal sindacare su un decimo di grado in più o in meno: inoltre il libro è stato scritto prima della retromarcia sul clima di Trump”. In sintesi, conclude il climatologo, “avremo tutti e due i problemi: riscaldamento globale ed esaurimento dei combustibili fossili. Uno non deve coprire l’altro, ma non possiamo non ricordare che risolvendone uno (con le energie rinnovabili), si risolve anche l’altro”.
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Italia nella morsa del freddo: per alcuni giorni temperature giù di 10 gradi, neve e vento forte
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Berlino, 19 mar. (Adnkronos/Afp) - Vladimir "Putin sta giocando". E' il commento della Germania dopo i nuovi attacchi russi denunciati dall'Ucraina, il giorno dopo l'accordo per una tregua limitata concluso dal presidente russo con il suo omologo americano Donald Trump durante la loro lunga telefonata di ieri.
"Abbiamo riscontrato che gli attacchi alle infrastrutture civili non sono assolutamente diminuiti durante la prima notte dopo questa telefonata apparentemente rivoluzionaria e formidabile", ha detto il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius in un'intervista televisiva.
Tel Aviv, 19 mar. (Adnkronos/afp) - Il governo israeliano ha approvato nella notte il ritorno di Itamar Ben Gvir alla carica di ministro della Sicurezza nazionale. Lo ha indicato in un comunicato stampa l'ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu.
"Il governo ha approvato all'unanimità la proposta del primo ministro Benjamin Netanyahu di rinominare il deputato Itamar Ben Gvir ministro della Sicurezza nazionale", si legge nel testo. Ben Gvir si è dimesso dal suo incarico il 19 gennaio, in disaccordo con la decisione di tregua con Hamas che ha definito “scandalosa”.
Sana'a, 19 mar. (Adnkronos) - Almeno 10 attacchi americani hanno colpito alcune zone dello Yemen, tra cui la provincia di Saada e Hodeidah. Lo hanno riferito i media Houthi dello Yemen. Gli Stati Uniti hanno lanciato un'ondata di attacchi nelle zone dello Yemen controllate dagli Houthi, alleati dell'Iran, che la scorsa settimana hanno dichiarato di voler riprendere gli attacchi alle navi mercantili del Mar Rosso per sostenere i palestinesi a Gaza.
Sana'a, 19 mar. (Adnkronos) - Gli Houthi hanno condotto una "operazione militare di alta qualità" contro la USS Harry S Truman. Lo ha reso noto un portavoce dell'organizzazione terroristica, secondo cui l'operazione, la quarta in 72 ore, prevedeva anche un attacco a "diverse navi da guerra nemiche" e ha sventato "un attacco aereo che si stava preparando contro il nostro Paese".
Washington, 19 mar. (Adnkronos) - Il Segretario di Stato americano Marco Rubio e il Consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz torneranno in Arabia Saudita per colloqui su un cessate il fuoco nella guerra tra Russia e Ucraina. Lo ha dichiarato a Fox News l'inviato speciale del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, Steve Witkoff. Parlando poche ore dopo la lunga telefonata fra il presidente americano Donald Trump con il presidente russo Vladimir Putin, Witkoff ha affermato che i colloqui su un accordo di cessate il fuoco "inizieranno domenica a Gedda".
Riferendosi a un cessate il fuoco sulle infrastrutture energetiche e sugli obiettivi nel Mar Nero, Witkoff afferma: "Penso che entrambi siano ora concordati con i russi. Sono fiducioso che gli ucraini saranno d'accordo".
Ankara, 19 mar. (Adnkronos) - Secondo quanto riportato dai media, la polizia turca ha arrestato il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, uno dei principali avversari politici del presidente Recep Tayyip Erdogan, nell'ambito di un'indagine su presunti legami con corruzione e terrorismo. L'agenzia statale Anadolu Agency afferma che i procuratori hanno emesso mandati di cattura per circa altre 100 persone. Le autorità hanno chiuso diverse strade intorno a Istanbul e vietato le manifestazioni in città per quattro giorni, in un apparente tentativo di prevenire le proteste dopo l'arresto.
La Turchia sta inoltre limitando l'accesso a numerose piattaforme di social media, tra cui X, YouTube, Instagram e TikTok, ha affermato l'osservatorio Internet Netblocks. L'arresto è avvenuto dopo una perquisizione della casa di Ekrem Imamoglu, un giorno dopo che un'università aveva invalidato il suo diploma di laurea, squalificando di fatto la popolare figura dell'opposizione dalla corsa alla presidenza. Avere una laurea è un requisito per candidarsi alle elezioni secondo la legge turca.
Il partito del sindaco, il principale partito di opposizione Republican People's Party, terrà le primarie domenica, dove Imamoglu dovrebbe essere scelto come candidato per le future elezioni presidenziali. Le prossime elezioni presidenziali in Turchia sono previste per il 2028, ma sono probabili elezioni anticipate. "Stiamo affrontando una grande tirannia, ma voglio che sappiate che non mi scoraggerò", afferma Imamoglu in un messaggio video pubblicato sui social media. Accusa il governo di "usurpare la volontà" del popolo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - Sì al rafforzamento della difesa, ma senza toccare i fondi di coesione; no all'invio di truppe italiane in Ucraina, tema che "non è mai stato all'ordine del giorno", come pure l'esercito comune europeo; Europa e Usa devono restare uniti, perché è "inimmaginabile" costruire delle "efficaci garanzie di sicurezza" dividendo le due sponde dell'Atlantico; e sui dazi, bisogna evitare "rappresaglie'' e trovare "soluzioni di buonsenso" provando a scongiurare una guerra commerciale con Donald Trump. Davanti alla platea di Palazzo Madama, la premier Giorgia Meloni ha tracciato ieri la linea che il governo italiano porterà al tavolo del Consiglio europeo di Bruxelles del 20 e 21 marzo, dove si parlerà di Ucraina e del maxi-piano di riarmo targato Ursula von der Leyen. Una posizione, quella dell'esecutivo, sintetizzata nella risoluzione in 12 punti della maggioranza, frutto di un paziente lavoro di mediazione che ha visto protagonista il ministro degli Affari Ue Tommaso Foti, oltre ai capigruppo del centrodestra.
Alla sinistra della premier ha preso posto il ministro degli Esteri Antonio Tajani; alla destra, quello dell'Economia Giancarlo Giorgetti. Assente il vicepremier leghista Matteo Salvini, all'estero per impegni istituzionali. Ma il ministro delle Infrastrutture ha tenuto in mattinata ad augurare 'in bocca al lupo' a Meloni in una telefonata che i rispettivi staff definiscono "cordiale e amichevole". I due, si leggeva in una nota, hanno scherzato "sugli ennesimi retroscena che raccontano di presunti litigi" nel governo: la Lega è "il collante della maggioranza", ribadiva Salvini a Meloni durante il colloquio.
Meloni ha preso la parola in Aula sottolineando l'importanza dell'attuale momento storico, "decisivo per il destino dell'Italia, dell'Europa e dell'Occidente". E' partita dai temi economici ed energetici, il capo del governo: competitività (l'Europa non deve rassegnarsi "al ruolo di gregario"); decarbonizzazione "sostenibile per le nostre imprese e per i nostri cittadini"; automotive, settore "strategico" che "non può essere abbandonato al proprio destino"; semplificazione, perché - ha messo in guardia Meloni - "se l'Europa pensa di sopravvivere a questa fase continuando a pretendere di iper regolamentare tutto, non sopravviverà"; sicurezza ed interconnessioni energetiche, nell'ottica del Piano Mattei caro all'Italia; completamento dell'Unione dei mercati dei capitali per stimolare gli investimenti privati.
Non è formalmente nell'agenda del Consiglio europeo, ma il tema dei dazi americani aleggia sul prossimo summit Ue e anche sull'Aula di Palazzo Madama. Meloni non è sfuggita alla questione, vista la sua delicatezza per una Nazione esportatrice come l'Italia: il quadro "è complesso", ha ammesso la premier, ma bisogna lavorare "con concretezza e pragmatismo" per trovare un'intesa con gli Usa di Trump, evitando "rappresaglie" e scongiurando, così, una "guerra commerciale" che secondo Meloni "non avvantaggerebbe nessuno, né gli Stati Uniti né l'Europa".
Migranti e Medio Oriente sono altri due argomenti affrontati da Meloni nel suo discorso: l'Italia, ha detto la leader di Fdi, segue "con grande attenzione il ricorso pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia, relativo ai trattenimenti in Albania" e auspica "che la Corte scongiuri il rischio di compromettere le politiche di rimpatrio". Meloni poi non ha nascosto la sua "grande preoccupazione" per la ripresa dei combattimenti a Gaza, così come per la situazione in Siria.
A proposito del conflitto russo-ucraino, Meloni ha ricordato il "massimo sostegno" che il governo sin dall'inizio della guerra ha garantito a Kiev: una scelta di campo "rimasta immutata", ha rivendicato, "non soltanto per Fratelli d'Italia, ma per l'intera maggioranza di centrodestra". Meloni ha salutato con favore la nuova fase di negoziati, dichiarando il suo sostegno per "gli sforzi del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump".
E' l'unità tra Ue e Usa, il concetto che l'inquilina di Palazzo Chigi si è sforzata di rimarcare: "Non è immaginabile costruire garanzie di sicurezza efficaci e durature dividendo l'Europa e gli Stati Uniti". E' giusto, ha osservato Meloni, "che l'Europa si attrezzi per fare la propria parte, ma è nella migliore delle ipotesi ingenuo, nella peggiore folle, pensare che oggi possa fare da sola, senza la Nato" e chi prova a scavare "un solco tra le due sponde dell'Atlantico, non fa che indebolire l'intero Occidente, a beneficio di ben altri attori". La presidente di Fratelli d'Italia ha poi ribadito quanto già dichiarato in diversi consessi, nelle ultime settimane: l'invio di truppe italiane in Ucraina "non è mai stato all'ordine del giorno, così come riteniamo che l'invio di truppe europee - proposto in prima battuta da Regno Unito e Francia - sia un'opzione molto complessa, rischiosa e poco efficace".
Altro grande tema in discussione è stato il potenziamento della difesa del Vecchio Continente. Meloni è tornata a bocciare il nome del piano 'ReArm Europe', definendolo "fuorviante per i cittadini". Ma la questione posta da Meloni non è soltanto semantica. L'annuncio dello stanziamento di 800 miliardi per la difesa da parte della Commissione Ue è "roboante" rispetto alla realtà, ha sottolineato Meloni, perché quelle non sono "risorse che vengono tolte da altri capitoli di spesa né risorse aggiuntive europee". A questo proposito, la premier ha ricordato il fermo 'no' del governo all'ipotesi di spostare i fondi di coesione destinati alle aree svantaggiate del Sud sul settore difesa.
I conti pubblici vanno preservati, nonostante il loro stato di salute sia "molto buono" e una manovra correttiva non sia "nei radar" del governo. Per questo, ha spiegato, l'Italia "valuterà con grande attenzione l'opportunità o meno di attivare gli strumenti previsti dal piano" che prevedono anche il ricorso a deficit aggiuntivo.
La strada indicata dal governo italiano va nella direzione di un meccanismo di garanzie pubbliche europee sul modello 'InvestEu' "per mobilitare più efficacemente i capitali privati e rilanciare gli investimenti nel settore della difesa".
Due i passaggi più applauditi del discorso di Meloni: il riferimento a Papa Francesco, al quale la premier ha augurato una pronta guarigione, e la solidarietà nei confronti del Capo dello Stato Sergio Mattarella, più volte attaccato dal Cremlino. La citazione di Pericle ha chiuso l'intervento della presidente del Consiglio: "La felicità consiste nella libertà e la libertà dipende dal coraggio".
Nonostante le fibrillazioni che hanno attraversato il centrodestra negli ultimi giorni, le comunicazioni di Meloni non hanno deluso le aspettative della Lega. Il Carroccio - sotto i riflettori per il suo voto contrario al piano von der Leyen a Strasburgo - ha espresso il suo apprezzamento per un discorso che "va nella giusta direzione, fortemente auspicata da Salvini", ossia: "Niente truppe italiane in Ucraina e nessuna ipotesi di esercito europeo, nessun taglio ai fondi per lo sviluppo e nessun accenno a un debito comune europeo, massimo sostegno all'impegno di Donald Trump per la pace e investimenti per la sicurezza in Italia". La risoluzione di maggioranza alla fine è passata con 109 sì, 69 contrari e 4 astenuti. Oggi il bis alla Camera dei deputati. (di Antonio Atte)