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I primi 50 giorni di Trump tra dazi e borse a picco: una politica economica rapace e rovinosa

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Ogni nuovo presidente americano viene valutato tradizionalmente dopo i primi 100 giorni. Nel caso della presidenza Trump questo periodo può essere dimezzato. La sua azione è stata finora travolgente e gli obiettivi sono molto chiari. In primo luogo, quelli che hanno creato lo stato di visibile crisi della democrazia americana, brutalmente aggredita con un’ondata senza precedente di ordini esecutivi. Con il risultato abbastanza preoccupante che oggi le principali potenze economiche e demografiche mondiali sono in mano ad autocrati. A Cina, India e Russia, si è aggiunta anche l’America a vocazione imperialista di Trump. Ma cosa dire sul piano economico? Anche qui il risultato è piuttosto netto e con esiti egualmente negativi. La politica economica di Trump si è dimostrata nelle prime battute da un lato rovinosa e dall’altro rapace nelle intenzioni.

A reagire negativamente alle iniziative economiche del leader del MAGA sono stati subito i mercati finanziari. E questo è logico perché la finanza si muove sulle aspettative che Trump ha fortemente deteriorato. Nel linguaggio tecnico della borsa, l’indice Nasdaq ha avuto la settimana scorsa una correzione, cioè un calo di più del 10%. Con Biden negli ultimi due anni l’indice di borsa più seguito al mondo era salito del 40%, in due mesi ha perso il 10%. Per gli amanti poi del turbocapitalismo, anche le criptovalute non hanno dato molta soddisfazione alla nuova Amministrazione. Inizialmente gli speculatori hanno realizzato grandi guadagni ma dalla fine di gennaio la moneta tarocca, il bitcoin, è scesa da 102.000 dollari alla quotazione attuale di 76.000. Parecchi sostenitori di Trump hanno visto sfumare i loro risparmi. Quindi né la finanza tradizionale né quella più esplosiva hanno creduto nelle mosse azzardate del nuovo Presidente.

Se la finanza non sorride, anche l’economia reale è in uno stato di strano surplace e gli effetti concreti si avranno solo fra qualche mese. Come è noto, l’asso nella manica di mister Trump sono le tariffe doganali, un ferrovecchio della politica commerciale. La rapace aquila americana ha di nuovo tirato fuori gli artigli. Qui le piroette sono state numerose, con dazi introdotti e poi subito ritirati su molti prodotti, ma sta di fatto che oggi chi esporta negli States paga una tassa del 25%. I partner commerciali non sono rimasti a guardare. La Cina ha risposto subito e anche la mossa europea non si è fatta attendere. Dal 1° aprile saranno in vigore dazi europei su circa 20 miliardi di valore di prodotti agricoli americani. In questo modo si è innescata l’inevitabile escalation tipica delle politiche protezionistiche. Sarà per questo che Trump stesso ha cambiato linguaggio e ha spostato più in là l’avvento della grande America. Addirittura si è spinto a considerare l’ipotesi di una recessione. Insomma, si sta già preparando la tradizionale ritirata strategica degli eserciti malconci e in fuga.

Le entrate dalle tariffe doganali poi, dovrebbero consentire di alleggerire il carico fiscale sugli americani. Depredati da molti decenni secondo Trump, finalmente i cittadini Usa avrebbero la loro rivalsa. Ma anche qui questi conti fasulli non tornano. Considerando che oggi il debito commerciale Usa vale 1000 miliardi, un’aliquota del 25% porterebbe nelle casse pubbliche una somma al più di 250 miliardi. Cifra notevole, ma non in grado di sostituire l’imposta sul reddito che ne vale più di 2.000. E nemmeno i licenziamenti di Musk aiuteranno molto il bilancio dello Stato, visto che la spesa pubblica per i due milioni di dipendenti federali è solo una piccola parte del budget federale.

Comunque l’Ocse prudentemente ha rivisto al ribasso le stime di crescita per tutti. Anche l’inflazione per ora sembra sotto controllo, e cioè rimane quella dell’epoca di Biden, anche se il prezzo delle uova continua a salire per fare evidentemente un dispetto al grande timoniere.

Come giudicare le scelte economiche erratiche e palesemente irrazionali da tutti i punti di vista di Trump? Credo che per comprenderle non sia sufficiente basarsi sui sofismi degli economisti e neppure sul lucido realismo degli scienziati della politica. Propongo di guardare in un’altra direzione, quella avanzata da un gruppo di 27 psichiatri che hanno raccolto le loro impressioni su Trump nel bel libro The Dangerous Case of Donald Trump del 2017. Il testo presenta le valutazioni molto critiche di questi medici della mente che hanno esaminato le dichiarazioni e il comportamento di Trump, giudicandolo totalmente inaffidabile. Al confronto la tanto criticata stanchezza mentale di Biden è una bagatella. Senza entrare nei dettagli del testo è sufficiente la frase riassuntiva che troviamo nella quarta di copertina: “Collettivamente noi avvertiamo che a chiunque sia mentalmente instabile, come quest’uomo [Trump], semplicemente non dovrebbe essere affidato il potere di vita o di morte che deriva dalla Presidenza”. Così la scienza, ma la politica purtroppo è un’altra cosa.

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