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Per l’Africa la fine di UsAid sarà una catastrofe o un’opportunità?

Questa la provocazione di oggi: la fine di UsAid (o comunque il suo forte stabile ridimensionamento prossimo venturo) sarà una catastrofe o una opportunità?

L’attacco agli aiuti esteri e all’assistenza allo sviluppo da parte del presidente americano Donald Trump ha devastato il sistema globale che comprende il lavoro legato alla democrazia, ai diritti umani, alla salute e allo sviluppo. In un colpo solo il 10 marzo scorso è stato annunciato che l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (UsAid) ha visto cancellare oltre l’80% dei suoi contratti, con la perdita di migliaia di progetti e di innumerevoli posti di lavoro.

Africa dopo gli aiuti? Come se non bastasse c’è un nuovo elenco che già ha mandato in fibrillazione cittadini e governi di 43 paesi del mondo. È il nuovo “Travel ban” che rivela come Trump starebbe preparando nuove regole di ingresso negli Stati Uniti con divieti e restrizioni sui visti per almeno 22 paesi africani.

Mentre Trump ha conquistato molti dei titoli dei giornali, anche i governi europei si sono messi in fila per ridimensionare i loro portafogli di aiuti, tra cui Regno Unito, Belgio, Svezia e Paesi Bassi. Si prevede che Germania e Canada seguiranno l’esempio. Il “resto dell’Occidente” non solo sembra non avere la capacità di farsi avanti e sostituire il sostegno critico dell’America, ma sembra anche non avere la volontà politica che la situazione richiede.

In molti – anche leader africani – celebrano questo assalto all’industria degli aiuti, sostenendo che dà all’Africa l’opportunità di stare in piedi da sola. L’argomentazione è che la riduzione degli aiuti può essere un trampolino di lancio per un “rinascimento africano” che potrebbe finalmente promuovere “soluzioni africane a problemi africani” e portare a un futuro più indipendente e sostenibile.

Jito Kayumba, consigliere del presidente dello Zambia, ritiene che i tagli agli aiuti possano spingere i governi africani a spendere in modo più oculato. “Sono un’opportunità per costruire capacità autonome, questione di sovranità e indipendenza economica”, sostiene. Paul Kagame, presidente del Ruanda, utilizza spesso il termine “mindset” (mentalità). “È ora di liberarci dalle basse aspettative che ci sono state attribuite e che abbiamo accettato”, ha dichiarato. January Yusuf Makamba, ex-ministro degli esteri della Tanzania, ha parlato qualche giorno fa di un cambiamento di paradigma: “Gli africani non sono contrari: abbiamo sempre voluto dipendere meno dagli altri”. W. Gyude Moore, ex ministro liberiano, aggiunge: “Più un paese è piccolo e povero, più questa dipendenza è umiliante”.

Questi leader africani non sono i soli a vedere nel volgare brutalismo trumpiano un’opportunità per liberarsi da una dipendenza che ha distorto le politiche nazionali e minato l’autostima. Tuttavia, se è indubbio che i progressi in materia di democrazia e sviluppo sono, e sono sempre stati, guidati dalle stesse popolazioni africane, qualsiasi rinascita di questo tipo dovrà fare i conti con la dura realtà della nuova rivoluzione geopolitica: siamo solo all’inizio.