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Harvard gratis per studenti con basso reddito: così si arginano i danni dell’amministrazione Trump

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L’università di Harvard ha annunciato ieri una riforma senza precedenti nel proprio sistema di accesso: a partire dall’anno accademico 2025-26, gli studenti provenienti da famiglie con un reddito annuo pari o inferiore a 200mila dollari non dovranno pagare le tasse di iscrizione. Per coloro che hanno un reddito familiare inferiore ai 100mila dollari, l’esperienza universitaria sarà completamente gratuita, comprensiva di vitto, alloggio, spese sanitarie, trasporti e perfino un contributo di sostegno finanziario pari a 4.000 dollari complessivi, distribuiti tra il primo e il terzo anno.

Secondo le stime dello stesso ateneo, circa l’86% delle famiglie statunitensi rientrerebbe nei criteri che consentono l’accesso agli aiuti finanziari. Il budget che la prestigiosa università ha deciso di destinare agli aiuti economici per gli studenti arriverà a 275 milioni di dollari nell’anno accademico 2025-26, mentre attualmente più della metà degli studenti già riceve una qualche forma di sostegno economico.

L’iniziativa di Harvard non è isolata, perché si inserisce in un trend crescente tra diverse università d’élite statunitensi. Anche l’University of Pennsylvania, Massachusetts Institute of Technology (MIT) e Dartmouth College hanno di recente approvato l’ampliamento dei propri programmi di sostegno finanziario per gli studenti provenienti da famiglie con reddito basso, nel tentativo di rendere sostenibile l’accesso all’università e aumentare il numero degli iscritti.

Le nuove politiche di reclutamento adottate da alcuni atenei statunitensi devono essere valutate nell’ambito del nuovo contesto storico del Paese, un contesto segnato da politiche apertamente ostili al sistema pubblico di istruzione e anche all’ingresso di studenti stranieri nel territorio statunitense. Nel programma elettorale del presidente Trump, infatti, si parlava apertamente dell’eliminazione del Dipartimento dell’Istruzione e, pochi giorni fa, lo stesso Dipartimento ha annunciato una drastica riduzione del personale, pari al 50%, a partire dal 21 marzo prossimo.

Secondo il Segretario all’Istruzione, Linda McMahon, la misura sarebbe finalizzata a garantire maggiore efficienza e a concentrare le risorse sugli studenti. Tuttavia, non è difficile comprendere come questi tagli rischino di indebolire ulteriormente un sistema già assai fragile.

Gli atenei statunitensi lo hanno compreso e alcuni di essi, specie quelli con maggiori disponibilità finanziarie, si stanno ora muovendo nella direzione di attenuare, per quanto possibile, i danni che sicuramente subiranno dalle riforme messe in campo dall’amministrazione Trump. L’obiettivo è, in altre parole, quello di provare a conservare il proprio primato nel rating internazionale, nonché nella ricerca scientifica e dei brevetti internazionali.

L’iniziativa di Harvard, per quanto possa apparire lodevole, intende salvaguardare soprattutto i propri interessi economici nel medio e lungo termine e, senza dubbio, rientra pur sempre nelle scelte discrezionali di un’università privata d’élite, la cui capacità economica non è replicabile su scala nazionale.

In un sistema fortemente diseguale come quello statunitense, dove il costo proibitivo dell’istruzione universitaria rappresenta un serio ostacolo alla mobilità sociale, la riforma del reclutamento annunciata da Harvard non può essere considerata una soluzione strutturale che risolve i problemi degli studenti universitari. L’accesso all’istruzione terziaria non può essere affidato esclusivamente al buon cuore dei presidenti o degli amministratori delegati delle singole università private.

L’università di Harvard ha annunciato ieri una riforma senza precedenti nel proprio sistema di accesso: a partire dall’anno accademico 2025-26, gli studenti provenienti da famiglie con un reddito annuo pari o inferiore a 200mila dollari non dovranno pagare le tasse di iscrizione. Per coloro che hanno un reddito familiare inferiore ai 100mila dollari, l’esperienza universitaria […]

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