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Con ‘Il Sogno’ Benigni fa un pezzo di storia della tv. E non era affatto in una posizione comoda

Per una ventina di minuti ha girato un po' a vuoto. Poi però ha cambiato passo e non l'ha fermato più nessuno
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È partito piano il Benigni con il suo Sogno. Per una ventina di minuti ha girato un po’ a vuoto tra omaggi alle autorità, preoccupazioni per la pace ed elenchi delle meraviglie inventate dagli europei che mi hanno fatto temere una replica delle banalità proposte da qualcuno sabato scorso in Piazza del popolo. Poi però quando ha cambiato passo non l’ha fermato più nessuno ed è venuta fuori una serata televisiva di quelle che vanno direttamente nella storia.

Per questa collocazione è stato decisivo il contributo di Giorgia Meloni e il suo attacco in Senato al manifesto di Ventotene. Poiché molti si chiedono quale sia stata la vera ragione di quel suo intervento, quale fine reale nasconda (distrazione dai veri problemi? rassicurazione degli alleati? trappola per gli avversari?), io credo di conoscere il mistero: nulla di tutto questo, era semplicemente un promo del programma di Rai uno. Oh Giorgia si fa per scherzare, direbbe lui…

E noi invece torniamo seri. Cosa ha consentito a Benigni di cambiare registro fino ad arrivare alla costruzione di uno spettacolo memorabile? Semplice. Tutto è successo quando è passato dalle riflessioni un po’ generiche al racconto, un racconto tipico delle sue performance, insieme ludico e didascalico, appassionato e ricco di informazioni. Cosa che non sottovaluterei, perché chiedo ai miei venticinque lettori quanti di loro conoscevano o ricordavano le tappe dell’unificazione europea: le figure degli autori del manifesto di Ventotene e la loro formazione politico-culturale, le rocambolesche vicende della diffusione di quel testo, il contributo fondamentale di Jean Monnet (chi era costui? per chi non lo sapesse, la sua casa non lontano da Parigi oggi è un museo), l’annuncio da parte di Schuman in una conferenza stampa della Costituzione della CECA, la comunità francotedesca del carbone e dell’acciaio.

E qui sta il punto centrale di tutta la serata, perché – si chiede lo stesso Benigni – è possibile che qualcuno si emozioni, si commuova sentendo parlare di una messa in comune di carbone e acciaio? Invece è proprio quello che accade in un crescendo che ricorda il MEC, il trattato di Roma, l’adesione di nuovi paesi, l’euro e raggiunge l’acme quando rievoca la nascita dell’Erasmus alla presenza della fondatrice del progetto, omaggiata con una rosa.

Ma che Benigni è stato quello che ha coinvolto il 28% della platea televisiva, 4 milioni e passa di italiani con uno spettacolo “povero”, di sole parole e senza la sua tradizionale componente satirica? Il Benigni che da tempo siamo abituati a vedere e che a taluni non piace. Il Benigni ottimista, come ha ribadito nel finale (spero che la parola buonista nel frattempo sua stata abolita), appassionato fino a rasentare la retorica ma senza mai caderci dentro, innamorato dell’oggetto che ha scelto di trattare (Dante, la Costituzione, ora l’Europa) nei confronti del quale si pone in una posizione di pura contemplazione e celebrazione. Che, a differenza di quello che pensa qualcuno, non è affatto una posizione comoda.

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