Intercettazioni, non solo i 45 giorni: verso la stretta anche sui dialoghi che riguardano terzi. Ok del governo all’odg

Non c’è solo la “tagliola” del limite di 45 giorni alle intercettazioni. Nella notte tra mercoledì e giovedì, subito prima che la Camera desse il via libera definitivo al ddl Zanettin, il governo ha accolto un ordine del giorno al testo impegnandosi a introdurre una nuova stretta sugli ascolti degli inquirenti. L’atto, presentato dal deputato di Forza Italia Tommaso Calderone, chiede di limitare l’utilizzabilità delle intercettazioni riguardanti terzi, cioè dei dialoghi in cui due o più persone – non sapendo di essere ascoltate – parlano di presunti reati commessi da altri: secondo Calderone, per usarli come prova a carico del terzo, i magistrati dovrebbero avere l’obbligo di trovare i cosiddetti “riscontri“, cioè elementi ulteriori rispetto alle dichiarazioni captate. Esempio: se Tizio e Caio, intercettati per accuse di droga, parlassero tra loro di Sempronio indicandolo come complice, non sarebbe possibile arrestare Sempronio sulla base di quelle frasi, ma bisognerebbe trovare conferme da altre fonti, anche se Tizio e Caio sono perfettamente attendibili. Si tratta della stessa disciplina prevista per le cosiddette chiamate in correità, cioè i casi in cui un indagato o imputato accusi altri di aver partecipato a un delitto da lui commesso. La differenza tra le due situazioni però è evidente: l’accusato può avere interesse a mentire per discolparsi, mentre in linea di massima non c’è motivo di dubitare della genuinità delle frasi intercettate (così come della deposizione di un testimone).
L’atto di indirizzo è stato accolto dal governo dopo una riformulazione approvata da Calderone: non c’è stato quindi bisogno di procedere alla votazione. Nelle premesse, il deputato di Fi scrive che “in tema di intercettazioni, la compressione dei principi” costituzionali “emerge in tutta chiarezza anche in relazione al tema delle intercettazioni indirette”, in cui si parla “di soggetti diversi dall’indagato o dall’imputato” o di una “persona comunque assente dalla conversazione. Ad avviso del presentatore del presente atto, l’individuazione di un limite massimo di durata delle intercettazioni deve dunque essere accompagnata anche da interventi sui presupposti sostanziali per il ricorso a tale mezzo di ricerca della prova e ciò tanto più ora, avendone ridotto i termini di durata”, afferma. Per questo l’ordine del giorno “impegna il governo a valutare interventi che rispetto alle intercettazioni cosiddette indirette prevedano che per l’utilizzabilità come prova debbano concorrere ulteriori elementi di prova che ne confermino l’attendibilità”. “In quarant’anni da avvocato ho visto tantissime persone finire in carcere sulla base di affermazioni non riscontrate fatte da altri, perchè le dichiarazioni venivano considerate “genuine”. Non deve più succedere, per questo chiedo che quei dialoghi non possano essere utilizzati senza altri elementi a carico”, spiega al fattoquotidiano.it. “Non vogliamo limitare l’uso delle intercettazioni”, afferma, “ma solo applicare un criterio valutativo. Inoltre, come un chiamante in correità, ad esempio un pentito, può avere interesse a mentire, in egual misura uno dei conversanti può avere interesse a non dire il vero. Non è diverso“.
Se questo impegno si trasformerà in legge, però, le conseguenze sulle indagini potrebbero essere di non poco conto. Stefano Celli, pm a Rimini e vicesegretario dell’Associazione nazionale magistrati, definisce il progetto “un’idea veramente stravagante”: “Le intercettazioni si fanno proprio per captare dialoghi spontanei. È ovvio che non tutti lo sono, ma mettere sullo stesso piano una conversazione intercettata con una chiamata in correità rivela una vera ossessione di alcuni esponenti della maggioranza nei confronti delle indagini penali e dell’accertamento dei reati“. Mentre la”tagliola” di 45 giorni, aggiunge, è l'”ennesimo limite di cui non si sentiva il bisogno”, che “conferma una volta di più una tendenza in voga da molti anni: quella di disseminare di ostacoli, formalità e adempimenti il processo penale e in particolare le indagini. Con queste regole sarà sempre più difficile, se non impossibile, accertare i reati più gravi che hanno bisogno di lunghi periodi di intercettazioni, come i delitti contro la pubblica amministrazione, le bancarotte, i reati societari e le grandi evasioni fiscali“.
Tra gli ordini del giorno accolti c’è anche quello a prima firma di un altro deputato azzurro, Enrico Costa, che impegna il governo “a valutare eventuali interventi normativi volti a garantire la genuinità degli esiti delle intercettazioni ad esclusione di alterazioni ad opera di sistemi di intelligenza artificiale“. Costa teme che le captazioni possano essere “inquinate” dai cosiddetti deepfake, audio creati dall’Ai che imitano in modo quasi indistinguibile la voce di una determinata persona. “È sufficiente avere un file di pochi secondi di “parlato” per consentire all’Ai di generare frasi complesse, sintatticamente e foneticamente attendibili”, avverte. E chiede perciò di prevedere l’utilizzo di “strumenti dotati di valenza scientifica, che certifichino l’autenticità dei risultati delle intercettazioni utilizzati in sede processuale”. Via libera pure a tutti gli ordini del giorno, provenienti sia dalla maggioranza sia dall’opposizione, che impegnano a escludere dalla “tagliola” dei 45 giorni i reati del cosiddetto codice rosso, cioè quelli di violenza contro le donne: violenza sessuale, stalking, revenge porn, pedopornografia e altri. Un impegno paradossale, visto che la maggioranza ha respinto tutti gli emendamenti presentati allo stesso scopo, per evitare di modificare il testo del ddl e quindi dover affrontare un nuovo passaggio al Senato.