Come ha fatto la catalana Maria Branyas Morera, deceduta ad agosto a 117 anni, ad arrivare a questo incredibile traguardo, e per di più in ottima salute? Lo spiega uno studio pionieristico dell’università di Barcellona che ha esaminato il DNA e il microbiota della recordwoman, e i cui risultati vengono anticipati da un recente articolo pubblicato su Geo España. Ecco la sua storia e le rivelazioni dello studio in corso di pubblicazione.
Poco più di un anno fa, l’arzilla vecchietta postava su X “Buon giorno, mondo. Oggi compio 117 anni. Sono arrivata fin qui”. Pochi mesi dopo, il 19 agosto, l’ultralongeva catalana affetta solo da sordità e dolori articolari moriva serenamente nel sonno, portando con sé inalterati i ricordi piccoli e grandi di una vita lunghissima, costellata da grandi eventi storici: la guerra civile spagnola, due guerre mondiali, due temibili epidemie – la spagnola nel 1918 e il Covid nel 2020, di cui si ammalò in forma lieve. Nata nel 1907 a San Francisco e trasferitasi nel 1915 in Catalogna con la famiglia, Maria lavorò come infermiera e si sposò nel 1931 con il medico Joan Moret (deceduto nel 1976), da cui ebbe tre figli, seguiti da 11 nipoti e 13 bisnipoti. Entrò nel Guinness dei primati nel 2023, dopo la morte della francese Lucille Randon a 118 anni. Dal 2000 viveva in casa di riposo: di certo non si aspettava di restarci per altri 25 anni. A chi le chiedeva come fosse arrivata a quella veneranda età, lei parlava di “Fortuna e un buon DNA”. Non andava molto lontano dal vero, come dimostra la ricerca “Estudio multiómico de la longevidad humana extrema”, al momento sottoposto a peer review dal Cold Spring Harbor Laboratory e ritenuto il più approfondito condotto finora su una persona supercentenaria. A lanciarlo il genetista Manel Esteller dell’università di Barcellona, tra i massimi esperti mondiali di epigenetica, invecchiamento e cancro, e che un paio di anni prima si era recato dall’anziana signora, trovandola lucidissima e capace di risalire a ricordi dell’infanzia, oltre che dispostissima a collaborare con la scienza.
Tre fattori chiave
Il professore studiò tutto di lei: DNA, RNA, microbiota, metabolismo, proteine ecc. Confrontò poi questi dati con quelli di altre cento persone di età diversa. Ed ecco la prima, importante conclusione, condivisa con Geo: “I meccanismi biologici chedeterminano una lunga vita non sono gli stessi che provocano le malattie tipiche dell’età”. Come dire che vecchiaia e malattia non sono un binomio inevitabile. Secondo l’autore dello studio, sono tre i fattori che hanno permesso alla signora di superare abbondantemente il secolo.
Il primo è la genetica: “Aveva una sequenza di DNA eccellente, ereditata dai genitori”, spiega Esteller. In pratica le sue cellule avevano circa 17 anni meno rispetto all’età effettiva. “Questo la proteggeva da patologie cardiovascolari, demenza e malattiemetaboliche come il diabete”. Il secondo fattore è il microbiota intestinale, di cui è ben noto e dimostrato il ruolo nel benessere generale: infatti favorisce la digestione e la sintesi delle vitamine, contribuisce a prevenire i disturbi psichici, le malattie intestinali e quelle metaboliche, alcune forme di tumore e l’artrite reumatoide. Paragonato a quello di un bambino, il microbiota di Maria era “composto da microbi associati a bassi livelli di infiammazione. Sappiamo che l’infiammazione cronica è collegata a molte malattie”. L’analisi dei ceppi batterici ha dimostrato un’alta efficienza immunologica. Il terzo fattore è l’età biologica: come detto, le sue cellule erano più giovani dell’età anagrafica. “Ciò significa che i suoi meccanismi biologici funzionavano con più vitalità di quanto ci si potrebbe aspettare dalla sua età”.
Buone abitudini di vita
La dea bendata l’ha quindi favorita, ma se Maria non si fosse presa cura di sé il suo eccellente DNA sarebbe servito a poco, assicura Esteller. Intanto, va ricordato che le genetica incide al massimo per il 30% sulla longevità. La signora aveva anche ereditato un ottimo microbiota, ma questo si sarebbe alterato con un eccesso di zuccheri e cibi ultraprocessati, cattiva gestione dello stress, abitudini voluttuarie come fumo e alcol. Quindi Maria ha saputo gestire bene la sua fortuna. A quanto si sa, la longeva seguiva una dieta definita da Esteller “semplice, frugale e variata”, di tipo mediterraneo, completata da 3 yogurt al giorno – grandi alleati del microbiota intestinale. Praticava esercizio fisico moderato, non fumava né beveva. Ed era attenta anche dal punto di vista cognitivo e mentale: amava leggere e conversare, postava sui social e soprattutto aveva buoni rapporti sociali. “Aveva un nucleo familiare forte e amici stretti”, ha spiegato il genetista a Geo. “Questo vincolo emotivo, questo affetto la aiutarono probabilmente a proteggersi dalle malattie neurodegenerative”.
La strada verso la longevità
Non saremo tutti fortunati come Maria, ma di sicuro si può fare molto per vivere di più. Se da una parte ci sono fattori non controllabili come il DNA e l’ambiente di vita – luoghi inquinati e con elevati picchi di temperature non sono certo favorevoli – dall’altra ci sono molti fattori che spianano la via verso una vecchiaia serena e il più possibile lunga. Per esempio è importante evitare ossidazione e infiammazione in eccesso, e in questo senso ci viene in aiuto la dieta mediterranea, ricca di alimenti antinfiammatori e antiossidanti, a partire dall’olio extravergine di oliva e passando per l’ampia varietà di ortaggi e verdure. Anche l’attività fisica moderata è benefica, tra l’altro per tenere sotto controllo il peso. Non guastano poi un po’ di ottimismo e la capacità di godere dei piccoli piaceri della vita. Resta comunque valida la lezione della Morera: “Ordine, tranquillità, buoni rapporti con la famiglia e gli amici, contatto con la natura, stabilità emozionale, niente preoccupazioni né rimpianti, tanta positività, stare lontano dalle persone tossiche”.