Femminicidio di Saman Abbas, la madre in Aula si difende: “Non l’ho uccisa io”. E anche il padre nega

I genitori di Saman Abbas negano di aver ucciso la figlia. Madre e padre, entrambi condannati in primo grado all’ergastolo, hanno parlato nell’Aula della Corte di assise di appello di Bologna. Nazia Shaheen è intervenuta per la prima volta dall’estradizione dell’estate scorsa e lo ha fatto con dichiarazioni spontanee: “Non sono stata io a uccidere mia figlia“, ha detto. Vestita con abito tradizionale pachistano e un velo blu scuro a coprirle il capo, ha reso la sua testimonianza con la traduzione di un interprete. “Sembro essere in vita, ma in realtà mi sento morta e finché non morirò passerò la mia vita piangendo. Ho insistito di voler rientrare in Italia per dire la verità. Non riesco a dimenticarmi di Saman, ho sempre il suo ricordo”. Nella scorsa udienza a parlare era stato il figlio 16enne che, proprio a proposito della madre, aveva ricordato di come “non potesse parlare in casa”.
A proposito delle ultime ore prime del femminicidio, Shaheen ha sostenuto: “Siamo usciti insieme, ho visto Saman che si stava incamminando molto velocemente. Poi l’ho vista sparire”. Secondo la donna, la figlia, quella sera, diceva che voleva andarsene per tornare in comunità, mentre lei e il marito avevano cercato in tutti i modi di convincerla a non andare. “Ringrazio il presidente che ha evitato la presenza delle telecamere, mi sento sotto pressione e soffro di depressione, non sarà facile per me”, ha esordito l’imputata. Che poi ha raccontato di come, nel corso della sua ultima giornata di vita, la figlia 18enne aveva a più riprese manifestato l’intenzione di andare via dalla casa di Novellara (Reggio Emilia), ma aveva fatto anche altro: per esempio le aveva chiesto di aiutarla a tingersi i capelli e aveva giocato col cellulare insieme al fratello minore. “Quella sera – ha detto – ogni volta che menzionava l’intento di tornare in comunità io mi sentivo male e uscivo di casa per poter respirare, in diverse occasioni mi ha seguita”. Poi ad un certo punto, quando Saman ha ribadito le proprie intenzioni, “io iniziai a piangere, le dissi di non andarsene, lei allora disse ‘ok non vado oggi, ma sicuramente andrò via di qui'”. A differenza di quanto dichiarato dall’altro suo figlio, “non ci fu nessun litigio, ma una discussione col padre che le diceva di non andarsene, noi le dicemmo che eravamo pronti a giurare sul corano a condizione che rimanesse. Io uscii in giardino, mi sentii male di nuovo, ho questi attacchi di panico da quando lei andò in comunità per la prima volta”. Quando Saman insistette ancora una volta per andare, “io e Shabbar ci mettemmo ai suoi piedi, chiedendole di non farlo“. Poi “lei è uscita, siamo usciti anche a noi. Dalle telecamere si vede, ma sarebbe stato bello se ci fosse stata la registrazione delle voci, perché continuamente la pregavamo di non andare”.
La donna ha anche negato la pianificazione del femminicidio: “Non è vero che ci siamo radunati per parlare di Saman, non ci siamo trovati a casa nostra”, ha detto. “Non c’è stato nessun incontro, neanche dei cugini. Riguardo ai nostri figli nessun altro familiare può permettersi di parlare di loro”. Di fatto ha quindi respinto la ricostruzione fatta dal figlio 16enne in Aula. “Non c’è stata nessuna pianificazione, nessun programma per uccidere a lei, non so niente. Mio figlio ha detto che la sera del 30 aprile c’era Danish (lo zio di Saman, imputato, ndr) a casa nostra, ma non è vero”, ha detto anche. Shaheen ha anche fatto una richiesta: “Vorrei vedere mio figlio, sto molto male. Mi sono arrivate diverse lettere in cui chiede di vedermi”. A lei ha risposto il presidente della Corte Domenico Stigliano: “Qui lui ha diritto di stare, ma oggi non è venuto, non lo vediamo. Lo deve chiedere lui. Serve una richiesta formale, se arriva, dopo il parere della Procura, la valutiamo”. Nelle scorse udienze il fratello di Saman aveva espresso attraverso il suo difensore, Angelo Russo, l’intenzione di rimanere in aula dopo aver reso la testimonianza, per vedere i genitori, ma non si è presentato.
Dopo la donna, anche il marito Shabbar Abbas ha rilasciato dichiarazioni spontanee. “Voglio precisare che non siamo stati noi genitori a uccidere nostra figlia”, ha detto. “Abbiamo fatto molta fatica a crescere i nostri figli. Ho forte dolore, dal momento in cui l’ho scoperto fino ad oggi. Lo avrò per tutta la vita. Come ha detto mia moglie noi uscimmo di casa, lei (Saman) andò nella strada, era buio, non abbiamo visto nulla”, ha aggiunto l’imputato, parlando in pachistano e tradotto da un interprete. “Pochi momenti prima c’era stata una chiamata di Saman, che aveva fatto dal bagno: ha detto ‘vieni a prendermi’. Pensavo fosse il ragazzo con cui stava e per quello chiamai Danish per dirgli: fatevi trovare per dargli una lezione, ma non picchiatelo troppo”, ha aggiunto, ribadendo un racconto già fatto da lui, nelle dichiarazioni al termine del processo in primo grado a Reggio Emilia. “Uscii di casa per vedere che non facessero qualcosa di grave, ma non ho visto nessuno, non ho sentito nessuna voce. La mattina dopo chiesi a Danish cosa avevano fatto col ragazzo, mi dissero che non avevano fatto niente, non erano neanche venuti sul posto”. Poi “siamo partiti per il Pakistan”. Shabbar Abbas ha anche fatto delle accuse: “Il 29 aprile non è stato fatto niente da nessuno, quello che è successo, è successo il 30, ma io non so, adesso, cosa è successo e cosa è stato fatto. Ho sentito Danish che ha dichiarato che erano presenti lui e gli altri due, quindi penso siano stati loro tre“. Mentre Shabbar e la moglie sono stati condannati in primo grado all’ergastolo, lo zio ha avuto una pena di 14 anni, i due cugini sono stati assolti. Nella scorsa udienza Danish Hasnain ha raccontato di essere arrivato nelle serre vicino alla casa di Saman e di aver visto la ragazza già morta e di aver solo aiutato i due cugini a seppellirne il corpo.