Zelensky alla Casa Bianca, Trump e l’Homo videns: è la videopolitica, bellezza!

Era il 1997 quando un plurilaureato professore, Giovanni Sartori, “Albert Schweitzer Professor of Humanities” alla Columbia University, diede alle stampe un volume dal titolo Homo Videns. Il libro destò molto interesse: la tesi di fondo era che il genere umano stava subendo una mutazione genetica poiché la dipendenza da televisione, internet e cellulare, modificava radicalmente, impoverendolo, l’apparato cognitivo dell’homo sapiens. Sartori riteneva che l’uomo video-formato diventa incapace di un capire astraente, cioè un capire per concetti. Lo accusarono al tempo di essere apocalittico, ma questo non lo turbava, “se le cose vanno male va detto senza troppo Salomonismo che vanno male”.
Il libro ebbe un grande successo e a tutt’oggi conta numerosissime riedizioni. In Italia, come nei paesi di lingua ispanica è un best seller, un libro imprescindibile per comprendere il nostro tempo. Il corso delle cose gli ha dato ragione, volenti o nolenti gli accademici contemporanei, che amano più di ogni cosa tacciare di passé i propri immediati predecessori. Sartori oggi, avrebbe riso mefistofelicamente. La parola oramai è spodestata dall’immagine. Tutto diventa visualizzato, ma non i concetti astratti quali libertà, democrazia ad esempio. E che succede di tali concetti se essi non sono riconducibili ad un’immagine e non visualizzabili?
L’essere umano ridotto al platonico “bipede implume” allevato però a panem et internet, si ritrova incapace di leggere testi se non abbreviati e semplificati. Se il primato lo ha l’immagine non si riesce a fare il passo successivo, cioè capire. Se si vede senza capire, il potere va a chi meglio gestisce il mezzo dell’informazione e il processo formativo dell’opinione pubblica. Baudrillard diceva: “L’informazione, invece di trasformare la massa in energia, produce ancor più massa”. Una massa informe e indolente, aggiungo io nel 2025, annientata economicamente e smarrita in un flusso senza fine di notizie dalle quali non riesce a trarre una propria convinzione o provare un moto di fiero sdegno e successivo dissenso.
Con questa chiave di lettura affronterei l’episodio “Zelensky alla casa Bianca, alla corte di Trump”. Gli strali delle anime belle si sono scagliati su Trump, visto come il “male di tutte le cose”, a favore “dell’ingenuo e disarmato Zelensky”. Nessuno che abbia notato che i contendenti sono ognuno il rovescio della stessa medaglia. Due prodotti della video politica. L’uno il palazzinaro/bancarottiere/milionario che ha preso il pieno potere e l’altro, l’ex-comico, che come l’omologo statunitense, ha forgiato se stesso sulla base dei media. Invece di indossare cravatta e toupet come Trump, si è infilato una tuta da combattimento senza la quale non è riconoscibile dalle masse, essendo il suo volto e la sua mente prodotto da “un nulla”. Entrambi sono postproduzioni a beneficio dei media. Non sono statisti, ma uno è un affarista di successo e l’altro un guitto che ha preso gusto al potere e non vuole mollarlo anche a rischio di lasciare dietro di se una scia senza fine di vittime. È la videopolitica bellezza, direbbe Barnum.
Qui noi 27 siamo arrivati. 27, troppo numerosi, mal assortiti e senza valori comuni. Un bel dilemma uscire dalla tenzone a testa alta.