Giornata sulla sindrome di Down, dalla scuola ai servizi: i diritti calpestati in Italia – Le testimonianze

Diritti che troppo spesso vengono calpestati come la mancanza di sostegno scolastico adeguato, pochissimi progetti di inclusione sociale a costi accessibili, insufficienza di percorsi di crescita e autonomia per una vita indipendente, estrema criticità nel trovare un lavoro, difficoltà ad avere relazioni sentimentali, esigui supporti per le famiglie. Sono questi, tra i vari, i problemi principali che si trovano ad affrontare le persone con sindrome di Down. Il 21 marzo è la Giornata mondiale sulla sindrome di Down. Nel mondo si stimano siano 5,4 milioni le persone con sindrome di Down, circa 38mila in Italia. Con i relativi passi avanti della medicina e della qualità dell’assistenza, le persone con sindrome di Down vivono molto più a lungo: il 61% di esse ha più di 25 anni. L’aspettativa di vita è passata da soli 9 anni negli anni ‘30, a 20 anni negli anni ‘70 e ora siamo intorno ai 60 anni. Ci sono casi anche in Italia di ultrasessantenni. La condizione delle persone con sindrome di Down è migliorata ma sono ancora troppi i diritti che non vengono sempre garantiti, lasciando le famiglie da sole a combattere per vedere riconosciuti servizi essenziali, pari opportunità e spazi inclusivi.
LE STORIE – Ilfattoquotidiano.it ha contattato famiglie e associazioni. Luigi Porrà abita a Cagliari, papà di Nicola, 19 anni, ed è il presidente di Centro Down Cagliari che aiuta un centinaio di famiglie. “L’aspetto della burocrazia è quello peggiore perché ci obbliga ad un impegno continuo, complesso e faticoso”, spiega. “Il primo problema che abbiamo vissuto con mio figlio è stato quando non gli volevano riconoscere l’invalidità totale né l’accompagnamento che gli spettava data la sua condizione sin dalla nascita. Siamo riusciti ad ottenerlo ricorrendo alle vie legali, così come abbiamo dovuto fare un passaggio in tribunale anche per vedergli assegnate le giuste ore di sostegno scolastico, vincendo un ricorso al Tar”, racconta Porrà. Nicola frequenta il quarto anno di un istituto alberghiero nel capoluogo sardo. Nonostante abbia ora l’insegnante di sostegno e l’educatore, come moltissimi nelle sue medesime condizioni non potrà ricevere il diploma ma solo un attestato per il percorso semplificato, imposto dalla scuola, con tutte le conseguenze negative per il suo futuro. “La nostra vita è fatta di continue battaglie, servono sempre energie fisiche e mentali. Una volta terminato il percorso scolastico”, aggiunge, “si apre il grande buco nero dell’ingresso nel mondo del lavoro con pochissime prospettive concrete di trovare un’occupazione”. Paola Catizone è la mamma di Davide, 21 anni, di Pianeta Down in provincia di Avellino. Anche Davide, come Nicola, non ha un diploma ma solo un attestato rilasciato da un istituto alberghiero a seguito di un programma differenziato. “I problemi si affrontano quando si arriva a scuola, in primis sul tema dell’autodeterminazione di una persona con gravi difficoltà comunicative”, spiega Catizone. Anche loro hanno fatto una causa per il riconoscimento delle ore idonee di sostegno alle scuole medie, poi vinta. Gli è stato riconosciuto il diritto allo studio solo dopo la sentenza. “Dove abitiamo noi, in alta Irpinia, non ci sono contesti inclusivi a livello lavorativo, manca la cultura nel fornire un supporto a 360 gradi alle persone con gravi disabilità. Sono due anni e mezzo e non abbiamo trovato nessuna progettualità per un impiego”, denuncia. Non solo. “Qui mancano i servizi essenziali pubblici come i trasporti inclusivi per le persone con disabilità intellettiva che non hanno la patente, tutto questo non rende effettiva la possibilità di vivere la vita in maniera soddisfacente”, sottolinea. “E’ reso impossibile per mio figlio vivere in modo autonomo, servirebbero dei servizi multidisciplinari accessibili per tutti, cosa che sul territorio sono quasi del tutto assenti”.
LE CAMPAGNE DELLE ASSOCIAZIONI – In occasione della Giornata mondiale l’Associazione italiana persone down (Aipd) lancia la campagna “Improve Our Support Systems”, che vuol dire “Migliorare i nostri sistemi di supporto” con la finalità di accendere i riflettori sui sostegni che non ci sono e di cui le persone con sindrome di Down e le loro famiglie hanno bisogno. “La nostra associazione è da sempre convinta che il protagonismo delle persone con sindrome di Down sia necessario e fondamentale per costruire un mondo migliore per loro e per tutti – spiega Gianfranco Salbini, presidente nazionale di Aipd – In questa occasione in cui la comunità internazionale accende i riflettori sui supporti di cui le persone con sindrome di Down hanno bisogno, non potevamo non dare a loro la parola. Non è più tempo di parlare al posto loro e di fare progetti senza farci guidare dalle loro indicazioni: la partecipazione e il protagonismo devono essere principi irrinunciabili e denominatori comuni di ogni nostra azione e campagna. Dietro ogni richiesta c’è una persona, dietro ogni appello c’è una vita. Sono queste persone e le loro vite che abbiamo voluto raccontare, con i video della campagna di quest’anno”. CoorDown, coordinamento di decine di organizzazioni, per il 21 marzo lancia la campagna internazionale “No decision without us” – “Nessuna decisione senza di noi” per rivendicare la presenza delle persone con sindrome di Down nei tavoli dove si prendono le decisioni che impattano sulla loro qualità di vita. “La situazione attuale è che le famiglie e poi le associazioni si fanno carico di tutto ciò che è necessario per supportare le persone con sindrome di Down nello sviluppo, la crescita e l’autonomia: dalla scuola fino alle attività socio-culturali e sportive, musicali, artistiche, relazionali e poi di inserimento a lavoro”, dice al Fatto.it Martina Fuga, presidente di CoorDown. Alcuni riescono ad avere percorsi di successo e inclusione, ma non è sempre così, anzi. “Molto dipende dai luoghi in cui si vive e dalle problematiche che le famiglie si trovano ad affrontare in termini di diseguaglianze e divari territoriali sui servizi di welfare e assistenza”.