Il Manifesto di Ventotene è radicale: ignorare il contesto in cui è nato vuol dire fraintendere

di Simone Millimaggi
Il Manifesto di Ventotene, redatto nel 1941 da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni durante il loro confino politico sull’isola di Ventotene, è considerato uno dei testi fondativi dell’idea di un’Europa unita e federale. Tuttavia, le critiche rivolte al documento, come quelle recentemente espresse da Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, rischiano di apparire decontestualizzate se non si tiene conto delle circostanze storiche in cui il manifesto è stato concepito.
Il contesto in cui gli autori operavano era quello dell’Europa in guerra, dominata dai regimi totalitari fascista e nazista. Spinelli, Rossi e Colorni erano confinati proprio perché oppositori del regime fascista, e il manifesto rappresentava una risposta radicale a un’epoca di nazionalismi, violenza e oppressione. Le proposte contenute nel testo, tra cui l’idea di un’Europa federale e la critica agli Stati nazionali, vanno lette come una reazione alla catastrofe della guerra e alla necessità di costruire un nuovo ordine politico che evitasse il ripetersi di tali tragedie.
Le critiche di Meloni, che si concentrano sulle parti più radicali del Manifesto, rischiano di ignorare questo sfondo storico. Il documento non nasceva come un’astratta riflessione politica, ma come un appello concreto alla liberazione dal fascismo e alla costruzione di un futuro di pace e cooperazione. La radicalità delle proposte va quindi interpretata alla luce della situazione disperata in cui gli autori si trovavano: privati della libertà, testimoni delle devastazioni della guerra e della repressione fascista.
Ignorare questo contesto significa rischiare di fraintendere il significato profondo del Manifesto. Le critiche che non tengono conto delle condizioni in cui il testo è stato scritto rischiano di apparire anacronistiche, applicando categorie contemporanee a un documento nato in un’epoca completamente diversa. Il Manifesto di Ventotene non va letto come un programma politico definitivo, ma come una proposta visionaria nata dalla resistenza al totalitarismo e dalla speranza di un’Europa libera e unita.
Come scrisse il filosofo Immanuel Kant: “Il coraggio è saper resistere alla paura, dominarla, non è non aver paura”. Quegli uomini, pur consapevoli dei rischi, scelsero di immaginare un futuro diverso, dimostrando che anche nelle condizioni più avverse è possibile lottare per la libertà e la giustizia.
Per concludere, qualsiasi analisi del Manifesto, comprese le critiche, deve partire dalla consapevolezza del contesto storico in cui è stato concepito. Solo così è possibile comprendere appieno il suo valore e il suo ruolo nella costruzione dell’Europa moderna, senza cadere in interpretazioni parziali o decontestualizzate.