Il mio 21 marzo è per i colleghi della Mobile uccisi dalla mafia

Nel primo anniversario della strage di Capaci, sul luogo dell’attentato era in corso la commemorazione per ricordare le vittime. Tra i presenti c’era Don Luigi Ciotti intento a pregare, quando un’esile donna vestita a lutto, si avvicina a lui piangendo: gli prende le mani e sussurra: “Sono la mamma di Antonino Montinaro, il caposcorta di Giovanni Falcone. Perché il nome di mio figlio non lo dicono mai? E’ morto come gli altri”. La mamma di Antonino aveva ragione, sia allora che ancora oggi, i media preferiscono scrivere “i ragazzi della scorta”, omettendo i nomi di quei “ragazzi”, che si chiamavano Rocco, Vito e Antonio.
Quattordici anni dopo l’appello della mamma di Antonio, il 1° marzo 2017, la Camera dei Deputati, all’unanimità approva la legge che istituisce il 21 marzo quale “Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie”. Iniziativa del Parlamento encomiabile, perché il 21 marzo rappresenta un momento di raccoglimento nel ricordare le vittime di mafia, e mostrare vicinanza verso i familiari delle vittime, che è bene ricordarlo, sono stati condannati all’ergastolo con fine pena mai.
Oggi, ricordo alcuni di loro, coi quali svolsi l’attività investigativa nel periodo di permanenza alla Mobile palermitana e alla DIA. Ricordo anche le vittime della Mobile, che non conobbi e alcuni inermi cittadini.
Polizia stradale
Giovanni Maria Tampone, ucciso da un bandito sardo il 2.11.1967 a Nuoro: con Giovanni, mio coetaneo, condividevo la stessa camerata.
Squadra mobile Palermo
Silvestro Silvio Corrao, ucciso nell’esplosione della Giulietta il 30 giugno 1963 a Ciaculli, a un paio di km da casa mia, udii il boato. Con lui morirono altre 6 persone, tra militari e carabinieri. Il carabiniere Eugenio Altomare era un mio amico;
Cappiello Gaetano, ucciso il 2 luglio 1975;
Aparo Filadelfio, ucciso, l’11 gennaio 1979. Avevo conosciuto Aparo per un’indagine congiunta di una rapina in banca: frequentammo lo stesso corso sottufficiali;
Boris Giuliano, dirigente della Mobile di Palermo, ucciso da Leoluca Bagarella il 21 luglio 1979;
Lenin Mancuso, ucciso il 25 settembre 1979 insieme al magistrato Cesare Terranova;
Caduti della mia 5° Sezione investigativa
Calogero “Lillo” Zucchetto, ucciso il 14 novembre 1982;
Giuseppe “Beppe” Montana ucciso il 28 luglio 1985;
Antonino “Ninni” Cassarà, ucciso il 6 agosto 1985;
Roberto Antiochia, ucciso insieme a Cassarà;
Natale Mondo, ucciso il 14 gennaio 1988.
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Salvatore Castelbuono, vigile urbano, ucciso il 26 settembre 1978;
Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso da Cosa nostra il 3 settembre 1982. L’avevo incontrato pochi giorni prima della sua morte, mentre passeggiava senza scorta all’interno del porto di Palermo. Quella sera intervenni in via Isidoro Carini. Insieme a Generale morì la moglie Emanuela Setti Carraro e il mio collega Domenico Russo;
Pio La Torre, ucciso il 30 aprile 1982, insieme al suo autista Rosario Di Salvo: quella mattina mi precipitai sul luogo del duplice omicidio;
Paolo Giaccone, medico, ucciso l’11 agosto 1982. Intervenni sul luogo dell’omicidio;
Mario D’Aleo, capitano dei carabinieri, ucciso il 13 giugno 1983;
Giuseppe Bommarito, appuntato e il carabiniere Pietro Morici, uccisi insieme al cap D’Aleo. (quella sera intervenni sul luogo del triplice omicidio);
Giovanni Falcone e sua moglie – magistrato – Francesca Morvillo, uccisi il 23 maggio 1992 a Capaci;
Paolo Borsellino, ucciso il 19 luglio 1992 in via D’Amelio.
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Ricordo i colleghi periti nelle stragi di Capaci e via D’Amelio:
Capaci: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo;
Via D’Amelio: Emanuela Loi (la prima poliziotta italiana caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Infine, ricordo alcuni bambini uccisi da Cosa nostra:
I gemellini di sei anni, Giuseppe e Salvatore Asta, uccisi il 2 aprile 1985 insieme alla loro mamma Barbara Rizzo;
Claudio Domino, ucciso a Palermo il 7 ottobre 1986;
Nencioni Nadia, di 9 anni e la sorellina Caterina di soli 50 giorni. Entrambi uccisi con i genitori nell’attentato di Firenze, nella notte tra il 26 e 27 maggio 1993. Morì anche lo studente ventiduenne Dario Capolicchio;
Giuseppe Di Matteo, sequestrato, tenuto prigioniero per quasi 800 giorni, ucciso l’11 gennaio 1996 e il cadavere disciolto in un bidone di acido.
A tutti loro va mio commosso ricordo.