L’intelligenza artificiale fa da pronto soccorso emotivo: una via per cambiare la situazione c’è

Qualche giorno fa, durante un corso sull’uso etico dell’Intelligenza Artificiale, chiedo ai partecipanti che esperienza abbiano con questi strumenti. Una risposta mi spiazza: “Le ho chiesto quando morirò.” Un po’ imbarazzato ho cercato di sdrammatizzare, ma quella domanda mi resta addosso. Perché in fondo è questa la questione centrale.
Che ci piaccia o no, l’AI sta diventando il pronto soccorso emotivo su qualsiasi cosa: dalla lavatrice bloccata allo sciacquone inceppato, fino ai drammi interiori più cupi. Ogni volta che ci sentiamo sopraffatti, la mano corre allo smartphone AI-potenziato in cerca di una risposta immediata. Vogliamo risolvere il problema, ma forse cerchiamo solo un sollievo.
“Ma queste sono difficoltà tecniche, che c’entrano i problemi emotivi?” C’entrano eccome. Da quando la tecnologia è diventata un’estensione di noi stessi, il confine tra necessità pratica ed esigenza esistenziale si è dissolto. Non è questione di giusto o sbagliato. È così e basta.
E i motivi sono chiari:
La comodità. Abbiamo risposte istantanee a ogni dubbio, ogni insicurezza. È un’attrazione irresistibile.
La vulnerabilità. Siamo disarmati di fronte alla pervasività di questi strumenti. E i più giovani lo sono ancora di più.
Le evidenze scientifiche dimostrano i danni dello smartphone sul cervello dei bambini. Per esempio uno studio pubblicato su Nature ha rilevato che l’uso eccessivo di smartphone può portare a cambiamenti nella chimica cerebrale, inclusa la riduzione del volume della materia grigia in determinate regioni del cervello associate al controllo cognitivo, alla regolazione emotiva e al processo decisionale. Se basta un telefono “normale” per anestetizzare un’intera generazione, immagina cosa può fare uno smartphone potenziato con l’AI in mano a bambini di 6 anni (o anche meno).
Qualche decennio fa il filosofo Michel Foucault scriveva un testo che ha valore ancora oggi: “Bisogna difendere la società”. Ebbene oggi va difesa dall’uso manipolatorio dell’AI.
Pochi giorni fa è uscita la nuova versione di ChatGpt 4.5, che pare essere ottimizzata per la persuasione dell’utente. A forza di persuadere, però, è facile sconfinare nella manipolazione.
Possiamo fare a meno di queste tecnologie “intelligenti”? No. Perché ormai siamo immersi in questa realtà fino al collo. L’AI, in modo invisibile, è già ovunque dietro le app che sono nel nostro smartphone, dietro i corsi FAD, che spesso riducono la formazione a un noioso download di nozioni, ignorando la relazione alla base di ogni scambio, anche formativo.
Una via, forse l’unica, però c’è. Per esempio, sfruttare l’AI per riattivare ciò che ci rende autenticamente umani. Per esempio, usarla per stimolare la scrittura a mano nei bambini – un toccasana per il cervello – invertendo, almeno in parte, i danni del digitale. Insomma, usare l’AI contro l’AI: per rafforzare la nostra umanità, anziché svuotarla. Questo dovrebbe essere il vero obiettivo dei corsi e delle riflessioni sull’AI: non l’ossessione per lo strumento, ma come metterlo al servizio dell’umano. Possiamo farlo. Sempre che lo vogliamo davvero.