Era stato respinto in Libia, ora potrà chiedere asilo in Italia: rifugiato sudanese vince in Tribunale contro il governo

Il 14 giugno del 2021 era stato soccorso in mare dalla nave mercantile Vos Triton e consegnato alla Guardia costiera libica. Ora, grazie a una decisione del Tribunale di Roma, Adam, giovane rifugiato sudanese, è atterrato a Fiumicino e potrà fare richiesta di protezione umanitaria nel nostro Paese. “È la prima volta che viene riconosciuta la responsabilità dell’Italia, anche solo per l’attività di coordinamento”, spiega Adelaide Massimi, del Progetto Sciabaca&Oruka di Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. Adam indossa una camicia di jeans color panna e dei pantaloni grigi molto leggeri: ha lo sguardo stanco dal viaggio. È arrivato a Roma domenica 23 marzo intorno alle 14, senza bagagli, solo con i vestiti che aveva indosso, per non dare nell’occhio alle milizie di Tripoli mentre si dirigeva in aeroporto. Qualche ora più tardi ci accoglie nella sua casa, o meglio in quello che da questo momento diventerà il suo appartamento nella Capitale, grazie all’appoggio dell’associazione Baobab Experience e del progetto di cohousing BaoHaus, nato nel 2020.
La vicenda – Adam ha deciso di abbandonare il Sudan a causa del conflitto in corso. È potuto entrare in Italia in aereo, grazie a una decisione del Tribunale di Roma che ha ordinato il rilascio di un visto di ingresso, permettendogli di chiedere asilo nel nostro Paese. Insieme ad altre 169 persone, il 14 giugno 2021 era stato soccorso dal mercantile Vos Triton nelle acque internazionali del Mediterraneo, mentre si trovava su una piccola imbarcazione di legno in avaria, per poi essere consegnato alla Guardia costiera libica con il supporto delle autorità italiane. Nonostante quel giorno non ci fossero navi italiane sulla scena, e benché la Vos Triton batta bandiera di Gibilterra, il Tribunale ha accertato comunque la responsabilità italiana a causa delle azioni e delle omissioni dell’Mrcc di Roma, il Centro di coordinamento e soccorso. L’Mrcc, infatti, era stato informato dalla rete di attivisti Alarm Phone della necessità di soccorrere le 170 persone alla deriva: nonostante la consapevolezza che riportare in Libia i naufraghi avrebbe avuto conseguenze drammatiche in termini di violazioni dei loro diritti, ha dato comunque istruzioni alla Vos Triton di attendere l’arrivo della motovedetta libica Zawiya e di consegnare loro i naufraghi.
La decisione – Secondo i giudici, questa vicenda è idonea a fondare una relazione “qualificata” fra Adam e il nostro Paese, da cui deriva il “diritto dello stesso a una misura di riparazione delle violazioni dei diritti umani fondamentali subite in conseguenza della condotta italiana, nella fattispecie consentendone l’ingresso in Italia”. Per questo motivo, con decisione cautelare, il 29 novembre scorso il Tribunale ha ordinato al ministero degli Esteri e all’Ambasciata d’Italia a Tripoli il rilascio del visto umanitario, emesso dopo circa due settimane, il 16 dicembre del 2024. “L’ordinanza stabilisce un principio importantissimo che scardina una prassi sistematica delle autorità marittime italiane”, spiega Nicola Datena, legale del giovane sudanese e socio Asgi. “Queste ultime, nonostante abbiano conoscenza e mezzi per intervenire in soccorso dei migranti in pericolo nel Mediterraneo, per evitare il loro arrivo in Europa spingono le autorità libiche a riportare, anche con la violenza, le persone in fuga in Libia. Questo tipo di intervento, detto “respingimento delegato”, è stato finalmente dichiarato illegittimo dal Tribunale di Roma”.
Le tappe – Dopo essere stato respinto nel Paese nordafricano, Adam è stato arrestato ed imprigionato nei centri di detenzione di Zawiya e di Janzour, dove è stato torturato. Nel 2023 il giovane è entrato in contatto con JLProject, il progetto nato nel 2019 da un collettivo contro le deportazioni in Libia, che ha avviato le indagini sul caso per riuscire a provare la sua presenza a bordo dell’imbarcazione. Grazie alla documentazione prodotta dall’aereo dell’ong Sea Watch e al materiale archiviato da Alarm Phone, le organizzazioni sono riuscite a ricostruire la vicenda e a raccogliere le prove necessarie. “Tutto nasce più o meno tre anni fa, quando mi viene comunicato un nome e un cognome”, racconta Eleonora Genovese, attivista di JLProject. “Da lì comincio a ricostruire il caso della nave Vos Triton. Questa è stata la prima volta in cui abbiamo iniziato a lavorare con altre realtà, a scambiarci materiale. Da lì poi queste collaborazioni sono diventate la prassi”, spiega.
Il principio affermato – Il 5 febbraio del 2024, grazie al sostegno del Progetto Sciabaca&Oruka, che si occupa di contrastare le violazioni dei diritti umani promuovendo azioni legali per la libertà di circolazione, Adam ha chiesto al Consolato italiano in Libia un visto di ingresso. Ottenuto un diniego si è rivolto al Tribunale civile di Roma che ha accolto invece la sua richiesta. “Questa ordinanza è una svolta rispetto alle decisioni precedenti”, dice Adelaide Massimi, coordinatrice del progetto, “perché riconosce che l’intervento del Centro di coordinamento italiano è stato fondamentale, perché era nella posizione di mettere in salvo queste persone e invece non l’ha fatto”. “Ci aspettiamo che questa decisione apra alla possibilità di affermare che anche solo il finanziamento di governi come quello libico e quello tunisino, che non possono essere considerati Paesi sicuri, sia sufficiente per dimostrare la responsabilità dell’Europa e dei suoi Stati membri di questa politica di respingimento”, aggiunge l’avvocato Datena.
L’esposto in Procura – Sulla vicenda del mercantile Vos Triton è pendente un esposto presentato alla Procura di Roma nel giugno 2023 a nome dello stesso Adam e di un’altra delle persone respinte che si trova attualmente in Sudan, grazie al supporto del “Comitato verità e giustizia per i nuovi desaparecidos. “Questo episodio sembra infatti inserirsi nel contesto dei cosiddetti respingimenti privatizzati“, spiega Emilio Drudi, del Comitato, “nei quali si impiegano navi mercantili per portare le persone verso “luoghi insicuri” quale è appunto la Libia, come dimostrano numerosi rapporti delle Nazioni unite oltre che diverse sentenze della stessa magistratura italiana. Basti ricordare quelle pronunciate per due casi analoghi, relativi alle navi Asso 28 e Vos Thalassa.”