Intercettazioni, ecco perché il limite di 45 giorni è a rischio incostituzionalità: “Non rispetta i trattati internazionali”

Una riforma che ostacola le indagini, agevola i criminali e “mortifica i cittadini onesti“, l’ha definita al Fatto il procuratore capo di Napoli Nicola Gratteri. Ma non solo: la legge Zanettin sulle intercettazioni – approvata in via definitiva in Parlamento la settimana scorsa – potrebbe avere più di un profilo di incostituzionalità. A sostenerlo è Gian Luigi Gatta, professore ordinario di Diritto penale all’Università Statale di Milano e tra i più ascoltati giuristi italiani (fu il super-consulente dell’ex ministra della Giustizia Marta Cartabia ai tempi del governo Draghi). In un articolo pubblicato sulla rivista online Sistema penale, Gatta solleva l’ipotesi (finora poco esplorata) che la “tagliola” di 45 giorni agli ascolti venga impugnata di fronte alla Consulta. I magistrati che si troveranno ad applicarla, suggerisce, avrebbero margine per sollevare questioni di costituzionalità sulla base di almeno due motivi: la violazione del principio di ragionevolezza e il contrasto con gli obblighi imposti all’Italia dalle convenzioni internazionali.
Indagini fino a due anni, ascolti solo per 45 giorni – La nuova legge, infatti, introduce una durata massima di un mese e mezzo alle intercettazioni nelle indagini per la maggior parte dei reati, superabile solo quando sussistono “elementi specifici e concreti che devono essere oggetto di espressa motivazione“. Ma questo termine è molto inferiore (almeno 12 volte) a quello di durata massima delle indagini, che resta fissato a un anno e mezzo, o a due anni per i delitti più gravi. Un disallineamento che secondo il professore “pone problemi dal punto di vista della coerenza del sistema e della ragionevolezza“. E per spiegarlo fa un esempio già proposto durante le audizioni sul ddl in Commissione Giustizia alla Camera: “È come dire a uno scienziato che sta compiendo una complessa ricerca per individuare una possibile e grave malattia: ‘Puoi farlo per due anni, ma puoi usare il microscopio solo per un mese e mezzo!'”.
“Limitazione irragionevole” – Secondo Gatta quindi “è verosimile ritenere che, già sotto questo profilo, possano essere prospettati dubbi di legittimità costituzionale, per contrasto con l’articolo 3 della Costituzione” e in particolare con il principio di ragionevolezza, implicito in quello di eguaglianza. “Se la legge consente di compiere atti di indagine fino a due anni, in ragione della gravità del reato o della complessità delle indagini, sembra irragionevole limitare nell’arco di questi due anni a soli 45 giorni un mezzo di ricerca della prova come quello delle intercettazioni; tanto più che si tratta notoriamente, in presenza di indagini complesse, di uno dei più efficaci mezzi di ricerca della prova”, nota. “A bene vedere”, aggiunge, “si finisce inoltre per stabilire un’impropria gerarchia tra i mezzi di ricerca della prova. Le perquisizioni, ad esempio, saranno mezzi di serie A perché possibili nell’arco dell’intero termine di durata delle indagini; le intercettazioni diventeranno un mezzo di serie B, perché utilizzabili solo in un periodo limitato”.
La confessione il 46esimo giorno? Non vale più nulla – Un altro profilo di potenziale incostituzionalità, segnala lo studioso, riguarda poi “i possibili effetti” della tagliola “sul piano della prevenzione e repressione della criminalità, anche in rapporto agli obblighi internazionali assunti dal Paese”. La legge Zanettin, sottolinea, “è tutta orientata a garantire ulteriormente l’indagato e, su un piano di bilanciamento di interessi contrapposti, finisce per sacrificare quello all’accertamento di diversi reati, posti a tutela di svariati beni giuridici, individuali e collettivi. Basti solo l’esempio dell’omicidio: Tizio, imprenditore, uccide Caio, concorrente nell’attività d’impresa, rivolgendosi a un killer. Sottoposto a intercettazioni, rivela il fatto il 46esimo giorno successivo all’inizio delle operazioni. L’intercettazione non sarà utilizzabile come prova, per quanto le indagini siano ancora in corso e le intercettazioni siano state ritenute indispensabili”, come impone la legge, dal gip che le ha disposte su richiesta del pm.
I rischi per le indagini sulla violenza di genere – In questo senso, sostiene Gatta, “il legislatore non ha considerato” i vari “obblighi internazionali assunti dal Paese che possono risultare di fatto non adempiuti per effetto della nuova legge”. L’esempio più immediato è la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne: all’articolo 49, quel trattato obbliga l’Italia a “garantire indagini e procedimenti efficaci” nei confronti dei reati oggetto della convenzione. Come può essere “efficace” un’indagine in cui i pm sono costretti a staccare le intercettazioni dopo 45 giorni? Il tema ha messo in imbarazzo lo stesso governo, che in Parlamento ha rifiutato di escludere dalla tagliola i reati del cosiddetto “codice rosso” (maltrattamenti, stalking, revenge porn) per non ritardare l’approvazione della legge, ma si è “pulito la coscienza“, scrive il penalista, accettando diversi ordini del giorno in cui si impegna a realizzare la stessa modifica con un intervento successivo. Quello della violenza di genere però non è l’unico tema: “Analoghi obblighi” di garantire indagini efficaci “sono previsti da diverse fonti sovranazionali, per esempio in rapporto ai reati di market abuse“, le manipolazioni dei mercati finanziari. “In questi e in consimili casi”, conclude il professore, “potrebbero prospettarsi questioni di legittimità costituzionale per contrasto con gli articoli 11 e 117 della Costituzione”, cioè le norme che impongono il rispetto dei trattati internazionali, “per inadempimento di obblighi sovranazionali relativi agli strumenti investigativi e all’efficacia dell’azione repressiva”.