Asia Centrale esclusa dalle tensioni nell’ex Urss: è pace sui confini tra Kirghizistan e Tagikistan

In numerose aree dello spazio post-sovietico la tensione è palpabile, quando non letteralmente esplosa come in Ucraina, ma non in Asia Centrale. Pochi giorni fa, a dimostrazione di questa tendenza, è arrivata la conclusione di un accordo dalla portata storica: i presidenti di Kirghizistan e Tagikistan, nel corso di una cerimonia che non ha risparmiato momenti dal fortissimo impatto scenografico, hanno messo la propria firma su un documento che certifica la demarcazione dei quasi mille chilometri di confine che separano le due più piccole repubbliche della regione. L’intesa ha portato anche alla riapertura delle strade, delle ferrovie e dei collegamenti aerei tra i due Paesi, interrotti a settembre 2022 all’apice dell’ultimo round di scontri.
Il significato sistemico del passo compiuto risiede anche nel fatto che le controversie circa le zone di frontiera, eredità del dominio sovietico sull’area, hanno portato, anche molto di recente, a confronti militari pesantissimi. Nel 2021 vi fu uno dei casi più gravi, con più di 100 morti nei combattimenti scoppiati per il controllo di un bacino idrico conteso. Nel settembre 2022 altra esplosione di tensione, con quasi una settimana di bombardamenti sui due lati del confine. Da lì in poi la situazione si è lentamente congelata, mantenendo però tutto il suo potenziale destabilizzante, in assenza di un accordo definitivo che stabilisse le diverse appartenenze territoriali. Che ora, a quasi 35 anni dal crollo dell’Unione Sovietica e in presenza di alcune polemiche sull’assegnazione amministrativa di alcuni villaggi e sulla presenza di alcune piccole aree definite “neutrali”, è finalmente arrivato.
Le pacche sulle spalle nei confronti del kirghiso Sadyr Japarov e del tagico Emomali Rahmon per l’obiettivo raggiunto sono state fatte recapitare da molte capitali, incluse ovviamente quelle più attente a quanto si muove nell’area centroasiatica: congratulazioni sono pervenute da parte della Russia, ma anche dalla Cina, dall’Iran e dalla Turchia e anche dall’Unione europea e dagli Stati Uniti. D’altronde, sono molti i Paesi che avrebbero da perdere in caso di un conflitto armato aperto in un’area molto delicata per gli equilibri regionali, considerando anche che il Tagikistan condivide un confine di quasi 1.400 chilometri con l’Afghanistan.
A dimostrazione dell’attenzione con cui da Mosca si continua a guardare alla regione, per tutta una serie di ragioni storiche uno dei bastioni più consolidati di influenza per il Cremlino, a poche ore dalla firma dell’accordo il presidente del Tagikistan si è imbarcato su un volo in direzione proprio della Russia per una tre giorni di incontri ad alto livello, tra cui un bilaterale con l’omologo russo, Vladimir Putin. Quest’ultimo ha voluto senza dubbio avere maggiori dettagli su quanto è stato definito tra le due repubbliche centro asiatiche, pensando anche al fatto che, proprio in Tagikistan, Mosca dispone della sua più grande base militare all’estero.
Guardando alle decisioni prese dalle autorità kirghise e tagiche, come detto l’accordo si inserisce in una dinamica di consolidamento della cooperazione nella regione centro asiatica. Una tendenza a cui dal Cremlino si presta la massima attenzione perché il coro di voci delle cinque repubbliche regionali è sicuramente più forte di ciascuna di esse prese singolarmente e questo potrebbe complicare i giochi nell’area per la Russia. Basti pensare all’appuntamento di inizio aprile, quando a Samarcanda si terrà il primo, storico, summit tra Asia Centrale e Unione europea, alla presenza, pare, anche della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Un passaggio che certificherà l’affollamento diplomatico e geopolitico che si registra negli ultimi anni in Asia Centrale e la volontà di quest’ultima di agire sempre più come un blocco unico.
Oltre alla cooperazione, anche l’ampliamento dei partner internazionali è al centro delle strategie delle cancellerie locali ma Putin non sembra intenzionato a ignorare i rischi insiti in questa situazione. Prova ne è, ad esempio, il viaggio del presidente della Duma russa in Uzbekistan per incontrare il leader del Paese, Shavkat Mirziyoyev, appena tornato da un viaggio in Francia caratterizzato da una grande intesa personale con Emmanuel Macron e da decine di contratti siglati sotto la Torre Eiffel. Come a dire, fate il vostro gioco, sia internamente all’Asia Centrale sia esternamente a essa, ma non dimenticatevi della controparte più importante.