Spagna e Portogallo investono sulla popolazione: noi cosa stiamo aspettando?

di Giovanni M
Come succede dopo ogni viaggio fuori dalla propria terra, dopo averlo sedimentato una volta tornato a casa, il pensiero è sempre lo stesso: l’erba del vicino è sempre più verde o veramente c’è qualche meccanismo che nel mio paese s’inceppa? Una domanda che difficilmente trova risposta se ci fissiamo sul lato della psiche umana e dei tre cervelli che devono allinearsi per dare un responso a quello che hai visto e toccato con mano.
Poi, però, una volta trovata la quadra, tiri un po’ le somme e la neocorteccia comincia a prendere il sopravvento dando sempre più “corda” alla parte rettile e quella limbica che spingono il tuo corpo a doversi spostare da dove sei nato (e forse ora capisco molte persone che lo fanno). Tra le rue portoghesi e le avenidas spagnole, mi sono perso tra profumi, piogge, visi, cieli variabili e un’atmosfera che non ti fa sentire né turista né estraneo. Forse perché molti di questi paesi rievocano le nostre terre e di quanto la loro storia sia presente nel nostro paese. Eppure non ho percepito dalla Spagna questo terrore di perdere la propria identità; cosa che, ancora oggi e non ne capisco il perché, si combatte qui da noi. Una questione per me inutile visto che, storicamente parlando, abbiamo sangue che proviene da un numero impreciso di ceppi invasori.
Tra gli sguardi che ho incrociato durante queste visite nelle due nazioni che formano la penisola, ho sempre avuto la curiosità di parlare con le persone non del luogo e che, cordialmente, mi hanno sempre raccontato le loro storie. Storie che arrivano da popolazioni asiatiche, nordafricane, est-europee, italiane e francesi a cui, mentre narravano la loro esperienza, brillavano ancora gli occhi. Qui ho visto per la prima volta la vera integrazione di popoli che si fondono attraverso una chance che viene data a tutti perché la dignità dell’uomo è ancora un valore molto forte. Tutti lavorano, le persone usano molto i mezzi pubblici, distese di piste ciclabili in tutta la città e una modalità di vivere la vita in maniera più pacata che aleggia nell’aria. Non mi meraviglia che la crescita economica spagnola, dopo un periodo pandemico durissimo, stia superando le aspettative attestandosi tra il 2,5 e il 2,7%.
Per onor di cronaca, bisogna dire che le due nazioni iberiche hanno beneficiato della “eccezione iberica”, un concordato con l’Ue per limitare il tetto della spesa energetica per le famiglie e le imprese che, di conseguenza, ne hanno beneficiato. Il tutto accompagnato da continui investimenti statali su trasporti e welfare popolare che non esclude nessuno. Senza dimenticare la valorizzazione delle politiche sugli immigrati che sia la Spagna sia il Portogallo stanno adottando. Un circolo virtuoso che non guarda a spendere fondi verso grandi infrastrutture inutili e politiche identitarie sterili e di guerra, ma verso uno stato sociale migliore. E non è una questione né di destra né di sinistra (attualmente a guidare il Portogallo c’è il Psd, partito di centro destra che – anch’esso – sta adottando politiche migratorie inclusive).
Nessuno me ne voglia: nulla contro la manifestazione del 15 marzo. Ma mentre si sta scendendo in piazza per “proteggere” i valori europei a larga scala, forse sarebbe meglio invocare le piazze per rivendicare dei diritti che ormai per molti sono dati per persi; per evitare che si continuino a spendere milioni di euro in progetti che sappiamo che non vedranno mai la luce, mentre si sprofonda sempre di più nel baratro della fame; per i giovani (e non solo) che per autodeterminarsi dovranno andare all’estero.
Fin da quando sono piccolo, ho sentito parlare dei due paesi di cui sopra sempre con sufficienza, ma probabilmente hanno capito molto prima di noi che investire sulla popolazione è il moltiplicatore più funzionale di sempre e questo è tangibile sia in termini di serenità che di stime reali di crescita. Noi cosa stiamo aspettando?