Da una strada di terra che porta ai confini del Sud Sudan al Circo Massimo di Roma di passi ce ne vogliono tanti. Ma se fatti uno alla volta e con gli amici giusti, quei passi diventano un percorso umano, oltre che artistico, da condividere con altre persone, quelle che via via, in dieci anni, si sono messe in ascolto. E allora come non festeggiare il viaggio con i 50mila del 6 luglio 2024 al Circo Massimo, con 33 tracce di un album che lo ripercorre (in uscita il 25 marzo) e un doc, presentato in anteprima domenica sera al Bifest di Bari, che diventerà un evento speciale nelle sale cinematografiche il 7, l’8 e il 9 aprile (già sold out).
Niccolò Fabi, Daniele Silvestri e Max Gazzè si conoscono e si frequentano dai primi anni ’90, da quando facevano l’uno il musicista dell’altro al mitico Locale romano, dove Pierfrancesco Favino era il buttafuori, sul paco era un via vai di volti noti alla Lucio Dalla e artisti emergenti come Alex Britti, e una sera si presentò persino Jon Bon Jovi. Gazzè, una volta tornato nella Capitale da Bruxelles nel 1992 – il padre era un alto funzionario della Commissione europea – aveva persino messo un annuncio su Porta Portese, il giornale su cui a Roma si vendeva e si cercava di tutto: offresi bassista. Annuncio che era finito tra le mani di Piero Monterisi, entrato da poco nei Tiromancino come batterista.
Non erano anni facili, però: Fabi e Silvestri, soprattutto, erano i “figli di”: Claudio, compositore e produttore della Pfm, e Alberto, sceneggiatore e storico autore di Maurizio Costanzo. Erano i “pariolini”, quelli con i soldi, quelli che non avevano dovuto sudarsela. Eppure, la costanza, la determinazione e la “necessità di vedere il mondo attraverso questo piccolo periscopio che sono le canzoni”, li hanno portati a carriere oggi trentennali, al successo, non inteso solo come palazzetti e autografi. Perché la vita succede, e comporta lutti e dolore e luoghi in cui questo dolore può trasformarsi. Luoghi come l’Africa, il Sud Sudan, in cui, nonostante il rischio malaria, il caldo, gli insetti, i ponti che mancano, le auto che si affossano nei laghi improvvisi, la vita può essere dolce come una struttura ospedaliera da donare al Cuamm in memoria delle “Parole di Lulù”, la figlia di Niccolò Fabi e Shirin Amini scomparsa qualche anno prima: “Le canzoni sono un atto d’amore”.
È il 2014, e su quella terra rossa nasce “Il Padrone della Festa”, un album ambientalista e fortunato che porta il trio in vetta alle classifiche e in giro per l’Italia e l’Europa. Quasi dodici mesi di tour, in una sospensione dalle proprie vite individuali e nella sedimentazione di un rapporto d’amicizia in cui nessuno vuole prendere il centro del palco. Tre caratteri complementari, tre linguaggi diversi, tre carriere parallele, ma un’alchimia rara che ha trovato nella festa del 6 luglio dello scorso anno la sua massima espressione. “Avevamo pensato di festeggiare tra noi, ma poi ci è sembrato giusto farlo con le persone che in questi dieci anni ci hanno seguito e supportato”, affermano i tre nel doc, prodotto da Fandango in associazione con Otr Live e in collaborazione con Rai Documentari e la regia di Francesco Cordio.
“È uno di quei momenti che uno si ricorda tutta la vita”, dice una ragazza all’inizio del film. La platea del Circo Massimo composta da bambini, ragazzi e genitori è la testimonianza che il viaggio è diventato generazionale. In dieci anni è cambiato il modo di fare e di ascoltare musica, è arrivato l’autotune, ma quell’albero a testa in giù con le radici per aria, che “sembra una seppia”, rimane lì a dimostrare che, pur essendo “ammanettati tutti insieme alla stessa bomba”, se facciamo “un passo alla volta” possiamo ancora salvarci.