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Dalla linea dura alla “tregua a tutti i costi”: le voci degli ucraini. ‘Partito della pace’ al 52% in 2 anni

Gli appelli alla mobilitazione e all'unità nazionale non bastano più: gli ucraini che vogliono trattare quanto prima la fine della guerra sono aumentati del 30%
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La pace tarda, le bombe no. Lo sanno gli ucraini, entrati nel quarto anno di guerra con un bilancio alquanto tragico: circa un terzo della popolazione, 12 milioni di persone, richiede assistenza umanitaria, secondo le Nazioni Unite. Secondo fonti governative il Paese registra 3,4 milioni di sfollati interni e i morti, si sa, hanno superato la soglia del milione unendo entrambe le fazioni.

Gli appelli alla mobilitazione e all’unità nazionale non bastano più. Al punto che il ‘partito della pace‘ è cresciuto di trenta punti percentuali negli ultimi due anni, secondo un sondaggio pubblicato da Gallup, con il 52% degli ucraini che vuole trattare quanto prima la fine della guerra. E ora che la diplomazia sembra poter contare su uno spiraglio, nonostante la brusca frenata dovuta allo scontro tra Volodymyr Zelensky e Donald Trump alla Casa Bianca, il dibattito non è più tra il fronte della guerra e quello della pace, ma sui termini di un accordo. “Siamo entrati in una guerra lunga. Le autorità politiche e le élite non riescono a offrire prospettive su come vivere in Ucraina in condizioni di conflitto permanente“, spiega Oleh Saakian, cofondatore della Piattaforma nazionale per la stabilità e la coesione, denunciando che il dibattito su “abusi di potere, corruzione e situazione economica sono stati rimandati” a un secondo momento.

Ne scaturisce un senso di smarrimento, che è fonte di incertezza nella popolazione. “Abbiamo paura di rimanere sotto l’ombra della guerra”, ha confessato Vyacheslav Grynevych, direttore esecutivo di Caritas-Spes Ucraina che ha finora assistito 4 milioni di persone, sottolineando che il Paese necessita di lavorare insieme alla comunità internazionale “nella ricostruzione e nel raggiungimento della pace”.

La fatica della guerra pesa sulle persone e le città sono devastate. È il caso di Kryvyi Rih, situata nell’oblast di Dnipropetrovs’k, le cui ore sono scandite dai costanti bombardamenti. “Nessuno corre più verso i rifugi antiaerei, sembra che la psiche si abitui a tali circostanze”, commenta Olya Vodolazova, 26enne, che nel febbraio 2022 è stata rifugiata in Italia rientrando in Ucraina pochi mesi dopo. Non è poi facile fuggire agli attacchi. Un missile balistico impiega due minuti per colpire il bersaglio, l’allarme suona un minuto dopo il lancio e rimangono soltanto 60 secondi per nascondersi. La città, che al 2022 contava quasi 700mila abitanti, possiede enormi giacimenti di ferro, magnesio e altri minerali. Buona parte di queste risorse verrebbero cedute a Washington in caso di firma dell’accordo sui minerali strategici. “L’importante è avere sicurezza e garanzie – ha commentato Olya a Ilfattoquotidiano.it -Non possiamo cedere risorse e nello stesso tempo tradire i nostri interessi”.

L’accordo preoccupa anche Viktoria Lukyanenko, 24enne residente a Odessa, già rifugiata in Italia, che ritiene Donald Trump un “uomo d’affari che vede dei profitti ovunque, anche nel dramma di milioni di uomini e donne uccisi sul fronte”. Mostrando i bombardamenti dalla sua finestra, Viktoria aggiunge: “Chi negozia sulla nostra pelle non ha mai sentito queste esplosioni. Ci spaventa l’indifferenza dei potenti“.

Altra storia è quella dei soldati sul fronte, tra i quali è difficile mantenere l’ordine e la disciplina ambiti da Kiev. Lo confermano le diserzioni che nel 2024 hanno raggiunto quota 60mila, secondo il Financial Times. “Parlando con franchezza, abbiamo sfruttato al massimo la nostra gente”, ha commentato a France24 un ufficiale della 72ª brigata che ha preferito rimanere anonimo per evitare di essere processato.

Neppure l’eventuale cessione di alcuni territori è più un tabù, fa sapere un sondaggio pubblicato dall’Istituto internazionale di sociologia di Kiev. Oggi la popolazione è più disposta a rinunciare alla Crimea e ai territori degli oblast di Donetsk e Luhanks “al fine di raggiungere la pace e preservare l’indipendenza del Paese laddove possibile”. È d’accordo Artem Shevchuk, 43enne residente a Kiev, che riferendosi al muro della memoria, situato nel monastero delle cupole dorate di San Michele, si interroga: “Quanti ritratti vogliamo ancora aggiungere? Quante vite dovremo ancora sacrificare?”.

La linea della fermezza resta invece più intransigente in Italia, dove Olena Kim, residente nel Paese e attivista ucraina da 25 anni, giudica la recente proposta di pace come “irrealizzabile e pericolosa”, sottolineando l’impossibilità di indire nuove elezioni presidenziali data la quantità di dispersi e sfollati nel Paese. Kim teme anche la svendita del Paese agli Stati Uniti e ne rivendica l’autonomia “nella gestione di risorse strategiche, minerarie, petrolifere affinché la sovranità non venga messa in pericolo”.

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