Lo schianto del volo Germanwings 9525 e i casi di suicidio dei piloti: l’incidenza rimane inquietante

Se non fosse la storia di una quasi incredibile tragedia, la vicenda del volo Germanwings 9525 potrebbe essere davvero bizzarra: il 24 marzo 2015 l’Airbus A320 decolla dell’aeroporto di Barcellona diretto a Düsseldorf. La quota di crociera fu raggiunta in circa 25 minuti ma dopo una decina di minuti l’Airbus iniziò una discesa controllata ma anomala fino all’impatto contro le montagne della località francese di Prads-Haute-Bléone ad una quota di circa 5000 piedi (1500 m). Ai comandi il co-pilota Andreas Lubitz che, approfittando di una momentanea assenza dalla cabina di pilotaggio del comandante Patrick Sondenheimer, blocca la porta di accesso al cockpit e disintegra contro la montagna l’aereo ed i suoi occupanti.
Nessuno riesce ad intervenire: dopo il 9/11 le porte di accesso alla cabina di pilotaggio sono blindate e possono essere aperte solo dall’interno.
Gli ultimi terrificanti momenti del volo sono documentati da un audio recuperato dai detriti post impatto, i passeggeri (tra cui una scolaresca) urlavano disperatamente ma Andreas Lubitz guardava il paesaggio che scorreva ed il suolo che si avvicinava. Cosa veramente gli passava in testa? Il numero di voli che giornalmente solcano i cieli dell’intero pianeta è di circa 26mila quindi, parametrando questo dato con il numero degli episodi di suicidio del pilota ai comandi che coinvolgono l’aereo ed i suoi passeggeri, ci rendiamo conto che l’incidenza di questi eventi è quasi irrilevante… anche se rimane inquietante.
Sulla tutt’ora irrisolta vicenda della sparizione del volo MH 370 e sulle ipotesi di suicidio del comandante Zaharie Ahmad Shah ho già avuto modo di scrivere: fu una vicenda dai connotati molto particolari che mi portano ad escludere qualsiasi ipotesi di suicidio del pilota in favore di interventi esterni che probabilmente mai verranno chiariti.
Nessuno è stato ancora in grado di spiegare esattamente quale patologia psichica possa spingere un pilota ad un impulso così distruttivo da coinvolgere anche le persone che si affidano a lui: l’immagine collettiva, e ben fondata, di un pilota negli anni in cui ero in Alitalia era quella di una persona in perfette condizioni psico-fisiche, selezionato in base a standard rigorosi, molto ben addestrato e con cicli continui di verifica ed aggiornamento. La necessaria standardizzazione delle procedure non prescindeva mai dal fattore umano che teneva conto anche delle singole personalità: sicuramente non eravamo piloti “perfetti” ma certamente in grado di gestire quella motitudine di variabili che la standardizzazione non poteva coprire.
Non possiamo più dire che il lavoro di un pilota di linea sia particolarmente rischioso ma è assolutamente carico di enormi responsabilità (in primis la vita dei passeggeri), sottoposto a controlli continui e fisicamente usurante. Motivazione, autostima e determinazione sono gli elementi chiave per poter fare questo lavoro e qui può annidarsi la motivazione che porta il pilota ad intrattenere l’ipotesi del suicidio: la paura di non riuscire a superare i regolari test medici o professionali, le preoccupazioni finanziarie magari causate da stili di vita particolarmente costosi, astio per presunti torti subiti da colleghi o dall’azienda.
I controlli periodici si concentrano principalmente sulle condizioni fisiche, mentre le problematiche psicologiche vengono spesso trascurate o dipendono dalla volontà del pilota stesso di segnalare eventuali difficoltà. Questo sistema ha totalmente fallito nel caso di Lubitz, il quale nascondeva le proprie condizioni per timore di perdere il lavoro. La compagnia aerea (Lufthansa, proprietaria di Germanwings) però sapeva dei suoi disturbi: dopo un lungo e grave episodio depressivo, aveva riottenuto l’idoneità al volo e molto probabilmente assumeva ancora psicofarmaci. In buona sostanza ad un palese squilibrato era stato concesso di avere libero arbitrio sulle vite dei suoi passeggeri.
L’elemento umano torna ad essere prepotentemente fondamentale ma sarebbe possibile gestire questa ancorché remota emergenza in volo in maniera risolutiva e non necessariamente costosa per le compagnie aeree. Rendere completa e globale la presenza a bordo di un anonimo addetto alla sicurezza su ogni volo di linea è certamente un’idea ambiziosa ma del tutto realizzabile: il personale addestrabile ad-hoc e proveniente da ex militari o ex appartenenti alle forze di sicurezza è disponibile ed un elemento su ogni volo sarebbe più che sufficente.
Dotato di un adeguato equipaggiamento difensivo/offensivo in grado di neutralizzare qualsiasi minaccia (compreso un pilota impazzito), dotato di accessi universali alla cabina di pilotaggio ma soprattutto perfettamente mimetizzato fra i passeggeri, l’ “air marshal” a bordo potrebbe essere la soluzione finale a tutti gli eventi in cui un pazzo o un terrorista cercano di impadronirsi di un volo.