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Il nuovo accesso a Medicina mi pare una scempiaggine: così la facoltà diventa un esamificio

Il 30 e lode con un professore o in un certo ateneo non corrisponde a quello di altro professore o diversa facoltà. Come si farà a stilare una graduatoria nazionale?
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Quando ero un ragazzo la facoltà di Medicina era aperta a tutti. Durante i primi tre anni del corso di laurea veniva attuata una selezione molto rilevante. In particolare anatomia e patologia generale erano esami “monstre” che richiedevano 8 mesi ognuno di studio molto intenso e incutevano timore. Ricordo che su seicento iscritti al primo anno rimanemmo circa 200 al terzo per laurearci in 150. Dal 1997 l’accesso alla laurea in Medicina venne programmata con un numero chiuso a cui si accedeva tramite un test di ingresso, prima locale poi nazionale. Questa limitazione, per ridurre le iscrizioni, fu decisa a livello europeo in accordo con tutte le altre nazioni. Tuttora rimane il vincolo per cui non è possibile aprire l’iscrizione in modo indiscriminato.

Il test di ingresso, attuato con domande a risposta multipla di fisica, chimica, matematica e cultura generale per anni è stato uno scoglio difficile da superare, visto che i partecipanti al concorso erano in numero tre o quattro volte superiori ai posti disponibili.

In questi giorni la ministra Bernini ha fatto approvare una legge per modificare il criterio di selezione. Si seguirà il modello sperimentato in Francia. Tutti i ragazzi potranno iscriversi poi, alla fine del primo semestre, si stilerà una graduatoria per far accedere gli studenti in base ai punteggi ottenuti negli esami.

A mio avviso questa sperimentazione è una scempiaggine. Il primo problema che si porrà riguarda il confronto dei risultati fra le varie facoltà. Il trenta e lode con un professore o in un certo ateneo non necessariamente corrisponde a quello con un altro professore in una diversa facoltà. Come si farà a stilare una graduatoria nazionale con dati così difformi? Inoltre, mentre un quiz a risposta multipla ha una sua intrinseca oggettività, l’esame universitario è molto più aleatorio.

Ricordo ad esempio che quando avevo 22 anni in un esame feci l’errore di correggere il professore che aveva detto un’inesattezza. Da quel momento lui mi fece domande molto complesse e alla fine, pur promuovendomi, mi diede un voto basso. Un altro professore era molto sensibile all’avvenenza femminile per cui, si diceva all’epoca, che una ragazza per conseguire un bel voto doveva presentarsi con ampi “decolleté”. Quando mi sono trovato dall’altra parte a dover assegnare voti agli studenti di psicoterapia ho scoperto che è difficile definire con un singolo numero la complessità della preparazione di una persona.

L’argomento che però mi rende più contrario al nuovo modello di selezione dei futuri medici è il seguente: è previsto che gli studenti che non supereranno la selezione potranno vedere riconosciuti i crediti accumulati il primo semestre, passando alle facoltà di area biomedica, sanitaria, farmaceutica e veterinaria. Ma anche ciò suscita seri interrogativi. Ad esempio: le modalità di riconoscimento di tali crediti sono ancora da definire e con esse il futuro dei ragazzi ma tanti sentiranno di aver perso un anno, saranno costretti a cambiare, con conseguente frustrazione delle loro aspettative, malessere psicologico e senso di fallimento. Partecipare al corso di medicina da ottobre a dicembre per poi effettuare gli esami a febbraio e marzo è un grande sforzo che si carica di innumerevoli significati emotivi. Immagino la frustrazione di chi si è impegnato e, solo perché ci sono pochi posti, non potrà entrare.

Meglio era il sistema precedente che consentiva di sapere in anticipo se non potevi accedere. Molti ragazzi optavano a quel punto per altri percorsi universitari senza subire la frustrazione di aver perso un rilevante periodo di studio e di vita. Ricordo ad esempio un amico di mio figlio che, non entrato per i quiz a medicina, si iscrisse a Ingegneria ed ora esercita felicemente questa professione.

La ministra nelle sue dichiarazioni si esprime con una certa ambiguità, quasi come se con la sua riforma non esistesse più il numero chiuso all’accesso alla professione medica. Se il suo retropensiero è quello di aprire indiscriminatamente alla possibilità di iscriversi sappia che per preparare un medico non occorrono solo lezioni teoriche frontali, ma strutture ospedaliere nelle quali tutor qualificati assistano il giovane e lo seguano nel suo percorso di apprendimento. Imparare a fare il medico richiede contatto coi pazienti, filtrato da insegnanti che ti spieghino dal vivo i problemi complessi che possono determinarsi. Ridurre la facoltà di Medicina a un esamificio, oltre a cozzare con le regole sottoscritte a livello sovranazionale, provoca la formazione di giovani laureati senza nessuna esperienza pratica.

Certamente il sistema dei quiz finora vigente doveva essere migliorato con eventuali prove multiple o quiz più mirati e ben fatti, ma non stravolto in questo modo, senza valutare le conseguenze emotive sull’autostima dei giovani. Come psicologo questo argomento mi sta a cuore in quanto, in base alla mia esperienza clinica, ritengo che la ferita emotiva che si può creare in un giovane di fronte al fallimento di un progetto di vita su cui ha investito tempo, denaro, immagine sociale sia rilevante e determini grande sofferenza. Mi viene in mente il caso di un mio assistito che ricordava ancora, dopo quarant’anni, il fallimento universitario come un elemento traumatico che aveva condizionato la sua vita successiva, rendendolo sempre insicuro rispetto alle scelte che doveva compiere.

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