Un tesoro conteso, una disputa familiare, e l’ombra della storia d’Italia. La questione dei gioielli dei Savoia, custoditi in un forziere della Banca d’Italia, torna a far discutere, dividendo i cugini Aimone di Savoia-Aosta ed Emanuele Filiberto. Quest’ultimo ne rivendica la restituzione, ma Aimone, 57 anni, principe e manager, non è d’accordo: “Non ha senso, erano della Corona e di conseguenza la XIII disposizione [della Costituzione, ndr] era chiarissima: tutto confiscato. Il fatto stesso che Umberto II li abbia lasciati in disponibilità di Bankitalia dimostra che non li sentiva privata proprietà. Andrebbero esposti”.
Un’opinione netta, quella di Aimone di Savoia-Aosta, espressa in un’intervista al Corriere della Sera, che riaccende i riflettori su una vicenda che si trascina da decenni. E che si intreccia con la storia della famiglia Savoia, con il referendum del 1946 e con l’esilio di Umberto II. “Tengo molto alla rivalutazione della figura di Umberto II”, afferma Aimone. “Aveva un carattere molto diverso dal padre, sarebbe stato un ottimo re e se il referendum fosse stato un paio di anni dopo l’avrebbe vinto. Partì in esilio. Disse: non si sparga sangue degli italiani, quando pure il referendum era molto contestato. E gli va dato atto di aver pagato solo lui: ci fu subito un’amnistia per i fascisti e invece con la Costituzione si certificò che Umberto avrebbe dovuto restare in esilio. Dovremmo rileggere Umberto con più amor patrio”.
Ma l’intervista di Aimone di Savoia-Aosta, Cavaliere della Repubblica per il suo lavoro sul fronte delle relazioni economico-commerciali tra Italia e Russia, spazia anche su altri temi, dalla politica internazionale alla sua vita privata. Dopo un inizio a Milano, tra studi alla Bocconi e lavoro alla Rinascente, Aimone è approdato a Mosca, lavorando per una trading company, in un periodo di “privatizzazioni selvagge”. “Papà Amedeo provò a farmi tornare indietro“, ricorda. Ma lui ha scelto di restare in Russia, dove per trent’anni ha lavorato per Pirelli, e dove oggi è responsabile degli affari istituzionali e regulatory.
L’intervista tocca anche il tema della monarchia e del ruolo di Re Carlo III, cugino di Aimone (“entrambi discendiamo dalla regina Vittoria”): “Ha sempre amato entrare nell’attualità”, afferma Aimone, ricordando i suoi “commenti sull’architettura” e definendolo un “remainer”, un sostenitore dell’Europa, anche dopo la Brexit. “E per l’Europa, senza Londra, parlare di difesa è ben diverso”. E sottolinea il ruolo del Re nella promozione della sostenibilità: “L’ho incontrato nella sua tenuta di Highgrove, abbiamo parlato di famiglia e della sua SMI Sustainable Markets Initiative che coinvolge dall’industria della moda a quella dei trasporti, nella transizione green. Il soft power del re è fortissimo e ha fatto grandi cose con le sue charity, […] capaci di raccogliere ogni anno circa 100 milioni di sterline“.
“E se guardo in Europa, sono poche quelle che stanno facendo male. Penso appunto a re Carlo e ai Windsor con il lavoro della principessa Kate dopo la malattia, e pure a re Felipe VI in Spagna: stanno lavorando molto bene”. E a chi gli chiede se sia difficile, per un reale, lavorare, risponde: “Lo ammetto, noi ex reali facciamo fatica a rientrare nei ranghi di una società normale. Per come siamo stati cresciuti: mio padre mi mandava in vacanza con Felipe di Spagna. Ma credo di vivere una vita piuttosto normale. Come pure Charles-Louis d’Orléans, cugino di Jean il pretendente al trono di Francia, che lavora per una banca d’affari”.