Europa “parassita”, “meschina” e oggetto di “odio”: le parole di Vance e Hegseth rivelano cosa gli Usa di Trump pensano degli alleati della Nato

Un’Europa “parassita“, oggetto di “odio” e “meschina“, degna soltanto di vedersi “addebitati i costi” dei bombardamenti sugli Houthi. Il ritratto che viene fuori dai messaggi scambiati tra il vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance e il segretario alla Difesa Pete Hegseth nella chat sfuggita ai vertici della Casa Bianca e finita sui giornali fa riflettere, perché mette in luce senza possibilità di fraintendimenti il modo in cui l’amministrazione Usa concepisce i rapporti e considera il principale gruppo di paesi suoi alleati nella Nato.
La storia è nota. Jeffrey Goldberg, direttore di The Atlantic, viene invitato dal consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz in una chat su Signal chiamata “Houthi PC small group” che comprende 18 personalità tra le quali oltre al vicepresidente e al capo del Pentagono figurano figure di spicco come Steve Witkoff, negoziatore Usa per il Medio Oriente e l’Ucraina, e Susie Wiles, capo dello staff della Casa Bianca. Il massimo livello dell’amministrazione americana, con la sola eccezione di Donald Trump. Con queste persone Vance e Hegseth condividono considerazioni politiche e dettagli prima dell’operazione condotta il 15 marzo contro gli Houthi – gruppo yemenita autore di atti di sabotaggio contro navi commerciali che transitano nel Mar Rosso – che finiscono anche sul cellulare del giornalista.
Trump ha deciso, gli Houthi vanno colpiti, ma nelle battute iniziali della chat si discute delle tempistiche e dell’opportunità dell’operazione. “Il 3% del commercio statunitense passa attraverso Suez – scrive Vance -. Il 40% del commercio europeo lo fa. C’è un rischio reale che il pubblico non capisca questo o perché è necessario”. Il timore di Vance è che gli americani non capiscano il motivo per il quale l’amministrazione voglia investire risorse in un’operazione militare che apparentemente non ha ritorni per gli Stati Uniti ma solo per i paesi europei, che si vedrebbero assicurare la praticabilità delle loro rotte commerciali. “Non sono sicuro – prosegue Vance, esprimendo un’opinione divergente da quella di Trump – che il presidente sia consapevole di quanto ciò sia incoerente con il suo messaggio sull’Europa in questo momento”. Ovvero che quest’ultima è “nata per truffare gli Usa“. “Ci sono forti argomenti per ritardare questo (l’operazione, ndr) di un mese, fare il lavoro di comunicazione sul perché questo è importante, vedere dove si trova l’economia, ecc.”, aggiunge il vicepresidente.
A quel punto intervengono Hegseth, che mette in fila le ragioni per le quali non sarebbe opportuno rinviare i raid, e Waltz. “Che sia adesso o tra diverse settimane – scrive il consigliere per la sicurezza -, dovranno essere gli Stati Uniti a riaprire queste rotte di navigazione. Su richiesta del presidente, stiamo lavorando con il Dipartimento della Difesa e lo Stato per determinare come compilare i costi associati e addebitarli agli europei“. E la conversazione si concentra su questi ultimi.
“Se pensi che dovremmo farlo, andiamo. Odio dover salvare di nuovo l’Europa“, risponde Vance a Hegseth. Che replica: “VP (vice-president, ndr): Condivido pienamente il tuo odio per il parassitismo europeo. È PATETICO (con l’aggettivo “pathetic” che in inglese significa anche “meschino”, ndr). Ma Mike (Waltz, ndr) ha ragione, siamo gli unici sul pianeta che possono farlo. Nessun altro ci si avvicina nemmeno. La questione è il tempismo. Penso che questo sia il momento migliore, data la direttiva del POTUS (President of the United States, ndr) di riaprire le rotte di navigazione”. “Ma chiariamo presto all’Egitto e all’Europa cosa ci aspettiamo in cambio – interviene l’account “SM”, identificato da Goldberg in Steven Miller, vice capo dello staff della Casa Bianca e confidente di Trump -. Dobbiamo anche capire come far rispettare tale requisito. Ad esempio, se l’Europa non remunera? Se gli Stati Uniti ripristinano con successo la libertà di navigazione a caro prezzo, ci deve essere un guadagno economico in cambio”. E la conversazione si chiude.
Quello che emerge è evidente: l’Europa, storico alleato degli Stati Uniti dalla fine del Secondo conflitto mondiale e negli anni della guerra fredda fino al 20 gennaio scorso, è ridotta al rango di meschino parassita che deve pagare la parcella dell’intervento contro i ribelli sciiti. Non si tratta dell’esuberanza verbale, per quanto lessicalmente limitata, a cui Trump in questi prime tre mesi di mandato ha abituato alleati e avversari. I messaggi privati di tre esponenti di massimo livello dell’amministrazione Usa spiegano con chiarezza quello che quest’ultima pensa dei paesi che fino a ieri sono stati i principali partner nel contrasto alla Russia di Vladimir Putin. Anche di quelli, come l’Italia, la cui premier Giorgia Meloni ha più volte fatto professione di filo-atlantismo e il cui vicepremier Matteo Salvini non perde occasione per schierarsi dalle parte di Donald Trump, producendosi in sperticate lodi, e che il 21 marzo ha avuto con Vance un colloquio “estremamente cordiale e concreto”. Ma è anche l’ultima prova della sintonia che il tycoon ha instaurato con il presidente russo, in un movimento a tenaglia nel quale l’Europa – ammiratori di Trump compresi – è presa nel mezzo.