Intercettò l’ex senatore Esposito senza autorizzazione: trasferimento e perdita di anzianità per il pm di Torino Colace

Perdita di anzianità di un anno e trasferimento al Tribunale di Milano con le funzioni di giudice civile, per “grave violazione di legge determinata da ignoranza e negligenza inescusabile”. È la sanzione emessa dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura nei confronti di Gianfranco Colace, il pm di Torino che secondo la Corte costituzionale ha intercettato illegalmente l’ex senatore Pd Stefano Esposito nell’inchiesta cosiddetta “Bigliettopoli“. Il procedimento disciplinare è stato aperto in seguito a un esposto del politico: la Procura generale della Cassazione, che rappresenta l’accusa, ha contestato al magistrato di aver chiesto il rinvio a giudizio di Esposito includendo tra le fonti di prova anche varie sue conversazioni, captate durante il mandato parlamentare sull’utenza di un altro indagato, l’imprenditore dei concerti Giulio Muttoni, senza chiedere al Senato né l’autorizzazione preventiva né quella successiva, prevista nel caso di intercettazioni casuali. Per aver disposto il rinvio a a giudizio “senza verificare il difetto di autorizzazione” è stata incolpata anche la gup del caso, Lucia Minutella, condannata però a una sanzione molto inferiore, quella della censura. Il collegio disciplinare, presieduto dal vicepresidente del Csm Fabio Pinelli, si è riservato il termine di novanta giorni per il deposito della motivazione. I due magistrati condannati potranno impugnare il provvedimento di fronte alle Sezioni unite civili della Cassazione: fino ad allora la sentenza non avrà effetto.
Nell’inchiesta “Bigliettopoli”, a Esposito venivano contestati i reati di corruzione, turbativa d’asta e traffico d’influenze: secondo l’accusa, si era attivato dietro pagamento per ottenere informazioni e favori per Muttoni e la sua società “Set up live”, colpita da interdittiva antimafia. Lo scorso dicembre il procedimento nei suoi confronti è stato archiviato dal gip di Roma, a cui era stato trasmesso per competenza territoriale. Il precedente rinvio a giudizio dell’ex senatore, ordinato nel 2022 dalla gup Minutella, era stato infatti annullato nel 2023 dalla Consulta, accogliendo il conflitto di attribuzioni sollevato dal Senato. I giudici costituzionali, ha ricordato in udienza la pm di Cassazione Marilia di Nardo, avevano ritenuto che quelle a cui è stato sottoposto l’ex parlamentare dem “si caratterizzassero come intercettazioni indirette“, cioè mirate ad ascoltare Esposito tramite Muttoni, “e necessitassero, dunque, della preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza”. In ogni caso, proseguiva il ragionamento, “anche a voler ritenere occasionali” le captazioni, “esse non potevano essere utilizzate” senza autorizzazione successiva, mai chiesta dal pm.
Proprio sul concetto di “utilizzo” dei nastri ha insistito la difesa dei due magistrati incolpati, affidata all’ex procuratore generale di Torino Marcello Maddalena e al procuratore aggiunto di Roma Giuseppe Cascini: secondo la loro ricostruzione, in sintesi, le intercettazioni erano casuali e l’autorizzazione successiva non era necessaria, in quanto non sono mai state “utilizzate” nel procedimento ma soltanto indicate genericamente (insieme a tutte le altre) tra le fonti di prova in occasione dell’udienza preliminare. Tanto che, “in una richiesta che riguardava 35 imputati e 86 capi di imputazione”, il pm “ha indicato genericamente, per tutti gli imputati e per tutti i capi di imputazione” le “operazioni di intercettazioni telefoniche” tra le fonti di prova, senza “ulteriori specificazioni”, ha sottolineato Maddalena. “Cosa avrebbe dovuto fare il dottor Colace? Chiedere l’autorizzazione alla Camera anche se poi non avrebbe utilizzato le intercettazioni? A me sembra che in mancanza di una norma di legge sia impossibile dire quale fosse la regola di condotta che avrebbe dovuto seguire il dottor Colace in quel momento”, ha sostenuto, chiedendo l’assoluzione “quantomeno perché stiamo nel campo dell’opinabile”.