In ‘Kurt is a Riot’ Valeria Sgarella strappa il fantasma di Cobain dal mausoleo

Non serve una tavola ouija per evocare Kurt Cobain. Basta andare su Spotify o allo stereo e sentirlo strozzarsi in una litania che ha cementificato il dolore della Generazione X. Ma quel dolore non è nato da solo. Ci sono stati incontri, scontri, schiaffi e carezze che hanno modellato l’icona prima che diventasse tale.
Valeria Sgarella, giornalista e scrittrice, che ha lavorato per Mtv negli anni in cui questa era ancora al top, al grunge ha già dedicato pagine intere, impilandole come mattoni in un tempio dedicato al rumore sporco e alla pioggia eterna di Seattle, dando voce ad Andy Wood, il primo martire della scena, in L’inventore del Grunge (Area51/Ledizioni), e smontando la mitologia di Seattle in Oltre i Nirvana (Edizioni del Gattaccio), un viaggio nei vicoli umidi della Sub Pop, senza dimenticare Seattle. La città, la musica, le storie (Odoya). In Kurt is a Riot Valeria strappa il fantasma dal mausoleo, lo trascina fuori sotto il neon tremolante della realtà e gli punta una luce dritta in faccia. Una luce brutale, senza filtri. Perché Kurt non è stato solo il martire del grunge, l’icona tragica da stampare sulle t-shirt, il ragazzo spezzato che si è sparato in bocca per regalarci l’ultima, struggente immagine da santificare.
“Il titolo del monologo Kurt is a Riot – spiega l’autrice – si ispira al movimento femminista delle Riot Grrrl, nato nei primi anni Novanta nel nord-ovest Pacifico, a Olympia, non lontano da Seattle. Un movimento punk e radicale che ha lasciato un segno profondo. Questo monologo – prosegue Valeria Sgarella – nasce da una lezione che ho tenuto l’anno scorso all’Università di Bologna, in occasione del trentennale della morte di Kurt Cobain. Durante quel seminario ho raccontato un aspetto di Cobain di cui si parla pochissimo: la sua componente attivista e, soprattutto, le sue radici femministe. Kurt ha mosso i primi passi a Olympia, proprio nel cuore del movimento Riot Grrrl, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta. Frequentava l’ambiente intellettuale dell’Evergreen State College non come studente, ma come parte di quel fermento culturale da cui sono emerse anche etichette indipendenti fondamentali come K Records e Kill Rock Stars, entrambi punti di riferimento per lui. Kurt – prosegue Sgarella – è stato un ragazzo cresciuto tra donne, immerso fino al collo in un mondo femminile che ha nutrito ogni singola fibra della sua musica”.
Non c’è stata solo Courtney Love, la femme fatale che la stampa ama dipingere come Yoko Ono col mascara sbavato. Ma anche Tracy Marander, che lo manteneva mentre lui con la chitarra, componeva brani che sarebbero passati alla storia, e che gli scattò persino la foto poi finita sulla cover di Bleach . O Kathleen Hanna, che gli scrisse sul muro Smells Like Teen Spirit prima di scendere in piazza a protestare contro i pro-life. E prima ancora, Tobi Vail delle Bikini Kill, che – udite udite – avrebbe potuto essere la batterista dei Nirvana. Una storia così assurda che sembra finta, e invece è finita nero su bianco solo nel 2024, nel memoir di Kathleen Hanna.
Sgarella ci sputa addosso tutto questo con la furia di chi ha passato troppo tempo a leggere sempre la stessa narrazione stantia. Perché ogni volta che si parla di Kurt, si parla della sua fine. Ma se invece guardiamo alla sua vita, vediamo un uomo che rifiutava il machismo, che vomitava sulle convenzioni del rock da sbruffoni con la pelle borchiata e le groupie ai piedi. Un uomo che, invece di glorificare il dolore femminile, lo viveva con una consapevolezza viscerale, che si è fatto spugna delle ferite delle donne che ha amato.
Ecco il punto: Kurt Cobain è stato anche un alleato, un attivista, uno che nel 1991 protestava contro le infiltrazioni pro-life nelle cliniche abortive, roba che oggi ci sembra attualissima. Ma nessuno te lo dice davvero. Ti parlano del fucile, della casa di Seattle, del sangue sul muro. Ma è solo la superficie, Valeria Sgarella invece scava più a fondo: ti racconta il sudore, le mani che l’hanno forgiato, il ventre caldo da cui è nato il grunge. Kurt is a Riot è un colpo di rasoio sulla tela delle banalità, uno schiaffo in faccia al ricordo imbalsamato di Kurt Cobain.
Prossime date (work in progress)
– 26 marzo, @goldsoundz_it, Padova
– 5 aprile, Circolo Shilke, Vercelli
– 27 giugno, @circolo_acli_cavaglietto, Novara