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Morta dopo la liposuzione: chi è il chirurgo Carlo Bravi. I Nas, le protesi abbandonate e i timbri falsi

73 anni, ora è indagato con altri due medici. Guardando al suo passato emergono irregolarità e segnalazioni. E una condanna
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Le indagini sulla morte di Simonetta Kalfus, 62enne deceduta 12 giorni dopo aver subito una liposuzione in una clinica privata di Roma, sono in corso. Ma chi l’ha operata era già stato condannato il precedenza. Il chirurgo Carlo Bravi, 73 anni, ora è indagato con altri due medici – un anestesista amico della donna e il medico dell’ospedale di Pomezia dove inizialmente si era recata e che la rimandò a casa – e guardando al suo passato emergono irregolarità e segnalazioni. “Era stato già condannato, se cerca su internet c’è scritto ovunque – ha dichiarato la figlia della vittima, Eleonora Rivetti, parlando al Messaggero -. Aveva già rovinato un’altra ragazza. Mi chiedo: perché non è stato fermato? Dove bisogna arrivare? Io in onore di mamma, per come la conosco io, chiedo soltanto di avere giustizia. Chi sbaglia deve pagare”. Finito più volte nel mirino dei Nas e dei magistrati, scrive Repubblica, anche l’ordine dei medici aveva ricevuto una nota dalla magistratura in relazione ai procedimenti che lo coinvolgevano. Negli ambienti in cui esercitava il suo lavoro infatti erano state rilevate irregolarità e un’igiene carente, come ha rilevato la procura in “almeno altri due episodi”.

Nello studio romano di Piazza Re di Roma erano state rilevate a febbraio 2023 “protesi mammarie abbandonate, ammassate l’una sull’altra, appoggiate alla rinfusa su una scrivania accanto a un computer, alcune infilate in sacchetti di plastica, altre adagiate su scatole di cartone, altre ancora vicino a contenitori generici, senza alcuna precauzione”. Per questi elementi Bravi era stato portato a processo dalla pm Eleonora Fini, che in un altro procedimento ha ottenuto la condanna del chirurgo a settembre 2024 “a un anno di reclusione per lesioni colpose aggravate per una operazione di mastoplastica completamente sbagliata”. L’accusa era “di esercitare attività diagnostiche nel suo studio senza le necessarie autorizzazioni del prefetto, in assenza di personale qualificato, come biologi e chimici, e di aver utilizzato il timbro di un altro medico per una ricetta”.

Al centro il caso di una donna operata nel 2017 in una struttura, ha scritto la giudice Antonella Bencivinni che “è apparsa inidonea, in quanto non sterile, non asettica e non fornita delle strumentazioni adeguate a fronteggiare l’attività svolta”. La donna aveva raccontato che per scaldare la sala operatoria in occasione del suo intervento era stato usato uno scaldino e che, quando lei si era sentita male, Bravi le aveva detto di essere ricoverato a Parigi, diventando di fatto irreperibile. La donna andò dunque al pronto soccorso e nel suo caso non ci furono conseguenze gravi. Non è andata così per Kalfus.

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