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Strage di Erba, la Cassazione dice no alla revisione. Ultimo atto per Rosa Bazzi e Olindo Romano

"Le cosiddette prove nuove sono mere congetture, astratte" aveva detto il pg durante l'udienza per far dichiarare inammissibile il ricorso. La Corte d'appello di Brescia lo scorso luglio aveva respinto le istanze
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Nessun processo di revisione. La parola fine lo scrive la Cassazione. I supremi giudici hanno rigettato il ricorso presentato dai difensori di Olindo e Rosa Bazzi, i coniugi condannati all’ergastolo, contro la decisione della Corte d’Appello di Brescia che aveva già respinto l’istanza di revisione della sentenza del carcere a vita. I magistrati hanno accolto la richiesta del procuratore generale di Cassazione che aveva sollecitato la corte a dichiarare inammissibile. “Le cosiddette prove nuove sono mere congetture, astratte” ha spiegato martedìmattina il pg Giulio Monferini. Il magistrato in aula ha ribadito che “quelle che secondo la difesa sarebbero le ‘prove nuove’ non possono in alcun modo smontare i pilastri delle motivazioni che hanno portato alla condanna di Rosa e Olindo, e cioè le dichiarazioni del sopravvissuto, le confessioni e le tracce ematiche. Le cosiddette prove nuove sono mere congetture, astratte”. I due condannati restano quindi all’ergastolo.

La difesa – “Olindo e Rosa sanno del ricorso e attendono. Hanno avuto parecchie delusioni ma sperano che sia accolto” aveva dichiarato l’avvocato Fabio Schembri, storico difensore dei due coniugi prima del verdetto. “Le nostre ragioni le abbiamo già scritte, adesso attendiamo l’esito Crediamo al ricorso e a quello che è stato scritto. Ci auguriamo che la Corte possa valutare serenamente e applicare rigorosamente i principi. Ci sono diverse prove nuove, tutte importanti perché vanno singolarmente e unitamente a impattare sugli argomenti che sorreggono la sentenza di condanna. E alcune di esse impattano sulla incompatibilità di Olindo e Rosa di compiere la strage”. I giudici della V sezione della Cassazione hanno deciso, a 8 mesi dal rigetto delle istanze di revisione. Per i giudici lombardi la difesa aveva portato in aula “solo dati frammentari” contro “prove solide”. Aula in cui si è arrivati anche perché, oltre ai difensori, a presentare istanza c’era stato il sostituto procuratore generale di Milano, Cuno Tarfusser, poi censurato per il suo comportamento dettato dalla volontà di “visibilità mediatica”.

Le accuse – La coppia è accusata della mattanza avvenuta nella corte della palazzina di via Diaz nella cittadina in provincia di Como, l’11 dicembre del 2006. Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini furono trucidati dai quei vicini di casa che mal sopportavano la famiglia considerata rumorosa e con cui avevano una causa civile in corso. Quinta vittima del massacro Mario Frigerio, marito della Cherubini, sopravvissuto allo sgozzamento e testimone dell’accusa contro i due imputati. Fu Frigerio, morto nel 2014, a indicare in aula – unica sede della raccolte delle prove – l’uomo e la moglie seduti accanto nella gabbia apostrofandoli così: “Sono quei due delinquenti lì”.

Frigerio e l’attendibilità – Proprio sull’attendibilità della testimonianza di Frigerio la difesa punta per riapertura del processo nelle oltre cento pagine, con numerosi allegati, del ricorso presentato alla Suprema corte dai legali della coppia nel quale viene chiesto di esaminare nuove prove che porterebbero alla loro assoluzione. Prove che la Corte d’appello ha invece respinto senza neanche aprire il dibattimento. La difesa riteneva le parole di Frigerio viziate dall’inalazione del fumo che si sprigionò dopo che gli assassini appiccarono l’incendio all’appartamento e che invece per i giudici bresciani sono pienamente attendibili. La difesa aveva presentato uno studio in cui si sostiene che gli effetti dell’inalazione del fumo avrebbero alterato la capacità del testimone. Uno studio che però fermava a sei mesi quell’effetto. Frigerio accusò Olindo in sede di indagini preliminari, ma anche in aula durante il processo di primo grado nel 2008.

I giudici di Brescia hanno scritto: “Lo stato di grave sofferenza e di confusione mentale di Mario Frigerio durante la degenza in ospedale e le sollecitazioni alla memoria rivoltegli dagli inquirenti, dai familiari e dal difensore non incrinano la lucidità della ricostruzione dell’aggressione dallo stesso offerta in dibattimento, coincidente con quella fornita dagli imputati nelle confessioni e ricca di dettagli sui movimenti suoi e della moglie durante quella giornata e nel momento in cui scesero le scale per capire da dove uscisse il fumo e prestare aiuto e in cui, dunque, l’unica informazione frutto d’indebite suggestioni sarebbe rappresentata proprio dall’identità del suo aggressore”.

Ma non ci sono solo le parole degli ultimi magistrati ad aver valutato l’attendibilità del sopravvissuto diventato testimone. I giudici della Corte d’assise di Como riconobbero l’attendibilità di Frigerio che puntò il dito in aula e aveva avuto “atteggiamento sempre lineare… nonostante l’intensità di un ferreo controesame”. Motivazioni confermate in appello. Anche gli ermellini – dopo il primo ricorso – erano tornati sulla testimonianza di Frigerio, che subito dopo la strage aveva parlato di un uomo con la pelle olivastra e non aveva fatto il nome di Olindo. Per i giudici “ha spiegato le sue difficoltà non tanto nel fare affiorare il ricordo momentaneamente offuscato a causa del trauma, quanto alla sua difficoltà di credere che a inveire su di lui fosse stato il Romano, suo vicino di casa che riteneva persona per bene, e che dichiarava di aver riconosciuto distintamente nel momento in cui aprì la porta di casa Castagna, tanto da essersi chiesto cosa facesse in quel luogo”.

Le confessioni – Attendibili per la Corte d’appello di Brescia sono anche le confessioni, poi malamente ritrattate con un foglietto e con poche parole pronunciate in aula. Mentre per la loro difesa vennero ‘ispirate’ da carabinieri e inquirenti, anche a causa della loro debolezza mentale. Appena fermati marito e moglie negarono, ma il 10 gennaio 2007 confessarono e poi confermarono due giorni dopo davanti al giudice per le indagini preliminari. “Io vi racconto tutta la verità adesso, poi qualche piccolo particolare poi dopo, lo rivediamo magari dopo perché … Niente quella sera lì eravamo in due, e io ero fuori che fumavo e mia moglie era in casa. Quando è arrivata la Castagna con la macchina del padre e la figlia e il nipote, io ero già fuori. Mia moglie è uscita, le abbiamo lasciate salire e nell’andare in là abbiamo messo i guanti, tutti e due, i guanti di tela bianca … Siamo entrati prima io e mia moglie penso che ce l’avevo subito dietro, ho colpito la Raffaella subito, ho colpito la madre subito e mia moglie è corsa dal bambino. Poi, mia moglie è ritornata e mi ha dato una mano a finire la mamma della Raffaella, poi siamo passati sulla Raffaella ed abbiamo finito anche lei …. ” raccontò Olindo Romano ripercorrendo poi le fasi successive con l’aggressione a Frigerio con “la stanghetta di ferro” per poi usare il “coltellino”.

Rosa raccontò, rispondendo alle domande del pm, come aveva preso il bambino, come l’aveva colpito mentre era sul divano dopo avergli stretto la faccia in una mano. Perché l’ha ucciso? “Perché piangeva e mi dava fastidio, mi aumentava il mal di testa quando sentivo … , e allora l’ho preso”. I colpi? “Uno” da sinistra a destra alla gola, da lei che è mancina.

“Dunque non una, ma due confessioni assolutamente spontanee, in nessun modo coartate – scrivono nelle motivazioni i giudici – impossibili da concertare nei dettagli eppure assolutamente complementari, confessioni rilasciate ai Pubblici Ministeri a soli due giorni dal fermo, in data 10.1.2007. Ma non è tutto, perché sia Romano Olindo che Bazzi Rosa, ad ulteriori due giorni di distanza, davanti al Gip, il 12.1.2007, ancora una volta entrambi, senza avere peraltro avuto modo di consultarsi, ribadiscono le rispettive ammissioni di colpa. Ed anche questa volta, vale davvero la pena di sottolinearlo senza fare assolutamente alcun accenno alle presunte pressioni subite”. A fronte di racconti particolareggiati e perfettamente complementari ai risultati delle indagini, all’inizio dell’udienza preliminare il 28 febbraio 2008, Romano con una breve dichiarazione, Bazzi con 29 parole su un foglietto scritto a mano dicono di essere innocenti e di aver confessato per non essere separati. Parole “riscontrate” dagli appunti che Olindo Romano aveva segnato sulla Bibbia; e poi i particolari indicati da due coniugi che solo chi era stato sulla scena del delitto poteva sapere. Le loro dichiarazioni non potevano essere la fantasia di due persone sotto pressione.

La macchia di sangue – Per i giudici bresciani è stato inutile cercare di svalutare la macchia di sangue di Valeria Cherubini trovata sulla Seat Arosa di Olindo. La macchia rilevata dai carabinieri fu alla base del fermo. Il sangue, non visibile a occhio nudo, venne repertato sull’auto sul battitacco del conducente insieme ad altre tre tracce che non erano sangue. Una “traccia di alta qualità, perché il Dna di quella traccia è stato tratto da sangue vicino al sangue puro, senza particolari fattori degradanti” scrissero i giudici nelle motivazioni della sentenza di primo grado citando le parole del perito. Come era finita quella traccia di sangue puro nell’auto dei coniugi? Il processo ha risposto anche a questa domanda: non per contaminazione come ipotizzato, ma semplicemente perché era sul corpo di Olindo Romano che sul punto aveva risposto al pm che gli chiedeva del sangue: “Ma non dai piedi, per me ce l’avevo in testa. Sì, perché il resto mi ero cambiato tutto. Io quella sera … ho cambiato anche le calze, e quelle macchie … erano sotto le calze e sotto i pantaloni; e quindi le cose che ho perso in macchina, le ho perse sicuramente dai capelli… “.

La lettera e la Bibbia – È agli atti dei processi che hanno portato al riconoscimento della responsabilità anche una lettera che nell’aprile del 2007 la coppia fece arrivare a un religioso: “Non ci siamo ancora resi conto di ciò che abbiamo fatto. Il perdono, il pentimento, si contrappongono all’odio e alla rabbia, alle umiliazioni subite in questi anni, la nostra colpa, la responsabilità di chi poteva evitare tutto questo e non lo ha fatto”. Ci sono poi gli appunti di Romano sulla Bibbia che gli fu regalata dal cappellano del carcere durante i primi mesi di detenzione. Anche questi scritti sono agli atti “… accogli nel tuo regno il piccolo Youssef, la sua mamma Raffaella, sua nonna Paola e Cherubini Valeria a cui noi abbiamo tolto il tuo dono, la vita … ” e poi ” … oggi a colloquio con la mia vita mi ha raccontato che sono alcune notti che vede Raffaella davanti alla branda come quella sera col sangue che le scende sul volto ed i colpi che gli ho inferto quando l’uccidemmo … ” e sotto il commento:” … stiamo scontando la nostra pena per causa tua e della tua famiglia … “. In altri appunti il rancore verso le vittime, verso il padre di Raffaella Castagna “… Dio lo ha punito, un uomo che si rifugia in chiesa, cattolico per interesse. Sapeva tutto e non ha fatto niente per evitare una strage annunciata … “; verso Mario Frigerio e Valeria Cherubini: “… dovevano farsi i cazzi suoi … “.

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