Fine vita, l’avvocato dello Stato: “Non c’è un diritto al suicidio”. Cappato: “Un dovere non girarsi dall’altra parte”

Ancora un’udienza, ancora un confronto tra le parti davanti alla Consulta per stabilire la costituzionalità della legge che regola l’aiuto al suicidio. Dopo la storica sentenza – Cappato-Dj Fabo del 2019 – la Corte costituzionale si è pronunciata anche l’anno scorso ampliando la nozione di “trattamenti di sostegno vitale. Decisione che non ha impedito alla giudice di Firenze di respingere la richiesta di archiviazione per Cappato e due attiviste. Oggi però i giudici sono chiamati a esprimersi sull’eccezione sollevata dal gip di Milano per i casi di Romano, 82 anni, di origini toscane e residente a Peschiera Borromeo, e la signora Elena, veneta di 70 anni, accompagnati in Svizzera.
“Non c’è un diritto al suicidio né un obbligo dei medici di concorrere a una volontà suicidaria” ha detto l’avvocato dello Stato, Ruggero Di Martino, in aula durante l’udienza pubblica. Per l’Avvocatura dello Stato, intervenuta in giudizio in rappresentanza della presidenza del Consiglio, la questione legata dal gip di Milano sull’articolo 580 del codice penale va dichiarata “inammissibile o manifestamente infondata”. “Qui si sta parlando di una norma penale che tutela il diritto alla vita in modo adeguato”.
I casi – Elena e Romano non erano tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale classicamente intesi, per questo, come non avevano provato ad accedere al suicidio assistito in Italia poiché si ritenevano privi di uno dei requisiti della sentenza Cappato-Dj Fabo, se interpretati in senso restrittivo. Entrambi avevano chiesto aiuto per andare in Svizzera e accedere al suicidio medicalmente assistito. Cappato, ad agosto e a novembre 2022, si era dunque autodenunciato a Milano, al rientro in Italia.
A settembre 2023, la procura di Milano aveva chiesto l’archiviazione per Cappato, sostenendo che un malato terminale può scegliere di essere aiutato a morire anche se non è attaccato a macchine che lo tengono in vita. E chi gli dà supporto, secondo i pm, non è punibile. Inoltre per la la Procura assimila la sottoposizione a trattamenti di sostegno vitale “al rifiuto di sottoporvisi” se questi sono un accanimento terapeutico. La giudice per le indagini preliminari, nel giugno 2024, aveva emesso un’ordinanza per entrambi i casi in cui dichiarava “rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 580 cp nella parte in cui prevede la punibilità della condotta di chi agevola l’altrui suicidio nella forma di aiuto al suicidio medicalmente assistito di persona non tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale affetta da una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili che abbia manifestato la propria decisione, formatasi in modo libero e consapevole, di porre fine alla propria vita per violazione degli art. 2, 3, 13, 32, 117 Cost in riferimento agli art. 8 e 14 Cedu.”
La difesa del diritto alla morte medicalmente assistita – “Come collegio di difesa abbiamo chiesto alla Corte l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale perché il requisito del trattamento di sostegno vitale deve essere chiarito con una sentenza vincolante, non come nella 135 dello scorso anno in cui si dà un’interpretazione ma non si vincola il giudice ad applicarla” ha detto Filomena Gallo, avvocata dell’associazione Luca Coscioni, al termine dell’udienza pubblica alla Consulta sul fine vita. “Abbiamo chiesto che a tutti i requisiti già previsti con la sentenza Cappato sia aggiunto, oltre al trattamento di sostegno vitale, in alternativa la prognosi infausta breve per il malato dove non vi è più nessuna linea terapeutica di cura – aggiunge -. Prognosi infausta breve significa che un medico a un malato di cancro scrive che non ci sono più cure, non c’è la possibilità di prevedere un trattamento di sostegno vitale. C’è soltanto il tempo che diminuisce. E quindi questo elemento deve essere uno dei requisiti per poter accedere alla morte volontaria anche in Italia”.
Cappato – “È la quarta volta in pochi anni che la Corte costituzionale è chiamata a esprimersi su questo tema ed è il risultato di azioni di disobbedienza civile con autodenuncia per le quali siamo pronti ad assumerci in pieno tutte le nostre responsabilità. Da parte mia è consistito in un dovere, nel dovere morale di non girare la testa dall’altra parte di fronte a condizioni che non avevano altra soluzione se non quella di accettare che la vita proseguisse come una tortura, una condizione di sofferenza insopportabile – ha detto Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, lasciando il palazzo della Consulta – Attendiamo le decisioni nel massimo del rispetto e anche nel massimo della determinazione per continuare questa lotta insieme all’associazione Luca Coscioni affinché sia garantito il diritto di essere liberi di decidere fino alla fine della vita”.
L’iter – La prima decisione della Corte costituzionale risale al 2018 con l’ordinanza 207 del 2018, seguita dalla sentenza di incostituzionalità del 242 del 2019 sul caso Cappato-Dj Fabo, con cui la Corte ha stabilito che, per poter accedere legalmente all’aiuto medico alla morte volontaria, la persona deve essere in possesso di determinati requisiti: essere capace di prendere decisioni libere e consapevoli, essere affetta da patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili e che sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale. La terza decisione, la numero 135 del 2024, ha invece fornito una più ampia interpretazione del requisito di “trattamento di sostegno vitale”. In questo caso era stato il tribunale di Firenze a chiedere l’intervento della Corte, a partire dal caso di Massimiliano, l’uomo toscano affetto da sclerosi multipla accompagnato in Svizzera per il suicidio assistito da Cappato, Chiara Lalli e Felicetta Maltese. Nonostante questa decisione il gip però non ha archiviato.