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Mi disturba sentire che Gaza ha ‘risvegliato le coscienze’: dov’eravate prima? Questo non doveva succedere

La verità è che non basta indignarsi quando il sangue scorre in diretta. Non basta condividere un post o dichiararsi “più consapevoli”
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Una delle cose che più mi disturbano – e che sento ripetere sempre più spesso con inquietante leggerezza – è l’idea che ciò che sta accadendo a Gaza abbia finalmente aperto gli occhi al mondo su quello che subisce il popolo palestinese da un secolo. Come se ci fosse stato bisogno di un numero infinito di morti, in pochissimo tempo, uccisi nei modi più inimmaginabili, con ospedali e scuole carbonizzati, intere famiglie annientate, e la vita a Gaza completamente cancellata… per risvegliare una coscienza globale. Come se questo, in fondo, fosse servito per capire che qualcosa non andava.

E invece no. Questo non doveva succedere. Nessuno avrebbe mai dovuto pagare un prezzo simile perché tu – spettatore distratto, magari benintenzionato, ma silente – ti decidessi a prendere posizione.

Mi chiedo spesso dove foste prima. Quando le demolizioni di case, le incarcerazioni arbitrarie, le torture inflitte ai bambini, i blocchi, gli assedi e le umiliazioni quotidiane spezzavano la vita dei palestinesi, giorno dopo giorno. Non è vero che oggi è “più atroce” di prima: è solo più concentrato, più visibile, e più difficile da nascondere. Ma la violenza c’era già. Da un secolo.

Il problema è che per troppo tempo i media occidentali – con rare eccezioni – hanno deliberatamente nascosto tutto questo, piegandosi alla narrazione israeliana, oscurando le voci palestinesi, contribuendo a costruire una percezione distorta della realtà. Non è stata disattenzione: è stata complicità.

Ora vi mobilitate. E va bene. Ma non raccontatevi la favola della “nuova consapevolezza”. Non è consapevolezza ciò che vi muove, è disagio. È il peso del silenzio che non potete più sopportare, è il senso di colpa, è la vergogna. Non l’empatia vera. E comunque è tardi. Troppo tardi per noi.

Se io dicessi che gli attentati dell’ISIS in Europa hanno avuto il “merito” di far capire al mondo le conseguenze devastanti dell’invasione americana dell’Iraq e della distruzione della Siria, sarebbe uno scandalo. E giustamente. Perché nessuna atrocità può mai essere definita necessaria per aprire gli occhi. Nessuno è sacrificabile per risvegliare qualcun altro.

La verità è che non basta indignarsi quando il sangue scorre in diretta. Non basta condividere un post, cambiare immagine del profilo o dichiararsi “più consapevoli” quando la realtà diventa troppo cruda per essere ignorata. La solidarietà vera non è una reazione, ma una scelta. Una scelta continua, che costa, perché stare dalla parte degli ultimi della terra non è mai comodo. Non è lo è mai stato nella storia.

La solidarietà vera è responsabilità. Di imparare a riconoscere i meccanismi che rendono certe vite sacrificabili, certe notizie censurate, certe violenze normalizzate. È da lì che si parte. Non per salvarsi la coscienza, ma per smettere – finalmente – di essere attivamente complici.

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