La commissaria Ue all’Ambiente: “La stretta sui Pfas non prima del 2026”. A vuoto gli appelli, vincono le lobby

“La modernizzazione” del regolamento Ue Reach sulle sostanze chimiche “arriverà entro la fine dell’anno”, ma non porterà con sé la stretta annunciata da Bruxelles sui Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche note come “inquinanti eterni”. Per quella bisognerà attendere almeno il 2026. Lo ha confermato in queste ore la commissaria Ue per l’Ambiente, Jessika Roswall. E le sue parole ricordano quelle pronunciate mesi fa da Mario Draghi per presentare il rapporto “Il futuro della competitività europea” redatto dal gruppo di lavoro dell’ex premier. Nel documento si affermava che l’eventuale divieto di utilizzo di una serie di Pfas avrebbe avuto un “impatto negativo sull’uso di sostanze necessarie per produrre tecnologie pulite (batterie ed elettrolizzatori), per le quali attualmente non esistono alternative”.
Nel frattempo, non si sono mai fermate le pressioni delle lobby sulla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, come denunciato nei mesi scorsi anche dal Corporate Europe Observatory e dal Forever pollution project, l’indagine coordinata da Le Monde con il coinvolgimento di 46 giornalisti e 29 partner provenienti da 16 Paesi. L’obiettivo? Rallentare l’ondata anti-Pfas, mentre l’Echa, l’Agenzia europea delle sostanze chimiche, stava ancora esaminando la proposta di Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia di vietarne uso e produzione, con alcune esenzioni limitate nel tempo per quei materiali per cui non esistono alternative adeguate. Dossier che poi sarebbe passato alla Commissione Ue per la sua proposta finale.
La stretta sui Pfas non prima del 2026 – “Cercheremo di stabilire il divieto degli Pfas nei prodotti di consumo” ha detto la commissaria Ue Roswall, ma “dobbiamo anche essere consapevoli che ci sono materiali, prodotti e cose di cui abbiamo davvero bisogno” che li contengono, “come gli inalatori o i beni essenziali per l’industria della difesa”. “Dobbiamo trovare un modo per limitare l’uso di queste sostanze in quelle produzioni” ha sottolineato la commissaria, secondo cui la stretta servirà soprattutto a dare “chiarezza all’industria” per poter investire. Nel frattempo, non si muoverà nulla prima del 2026 anche su un altro fronte, quello delle acque potabili. Perché se nel 2020 l’Europa ha adottato una direttiva (attuata in Italia nel 2023) che entrerà in vigore proprio nel 2026, è pur vero che il limite per la presenza di Pfas nell’acqua sarà di cento nanogrammi per litro per la somma di venti Pfas (24 in Italia) e cinquecento nanogrammi per tutti i Pfas (sono oltre diecimila). Mentre, stando agli studi più recenti e autorevoli, per la sicurezza umana il limite dovrebbe essere vicino allo zero tecnico. Di fatto, alcuni Paesi hanno già imposto limiti anche cinquanta volte inferiori rispetto a quelli della direttiva.
Gli appelli nel vuoto, vincono le lobby – L’Italia non è tra questi, nonostante la Commissione Ecomafie, guidata dalla maggioranza, si sia di recente espressa per regolamentare i Pfas. A gennaio 2025, in una lettera aperta indirizzata a Ursula von der Leyen, 94 associazioni europee, tra cui ClientEarth, Corporate Europe Observatory, Friends the Earth Europe, Legambiente, Mamme no Pfas e Isde hanno chiesto un divieto globale per le sostanze. Ma gli Stati – alcuni – e le ong non sono stati gli unici a muoversi. Lo hanno fatto anche le aziende dell’industria chimica direttamente interessate. La lobby aziendale più attiva? È la Chemours, società spin-off del colosso chimico DuPont, con una spesa dichiarata per le attività di lobbying in Unione europea Ue quadruplicata dal 2017, riunioni diffuse ad alto livello in numerosi dipartimenti della Commissione e un uso intensivo di avvocati e consulenti.
Greenpeace: “Le alternative esistono, eccome” – D’altronde, già nei mesi scorsi i rarissimi provvedimenti presi hanno dovuto fare i conti con i “timori” dell’industria e le “indicazioni” di Draghi. A ottobre scorso, per esempio, l’introduzione del divieto di vendita e uso di PFHxA (acido undecafluoroesanoico), uno dei sottogruppi di Pfas e delle sostanze a esso correlate, ha riguardato i tessuti delle giacche antipioggia, gli imballaggi alimentari come le scatole per la pizza, cosmetici, alcune applicazioni di schiuma antincendio, ma non i semiconduttori, le batterie o le celle a combustibile per l’idrogeno verde. Ma davvero l’ostacolo principale è quello della mancanza di alternative in alcune industrie? Secondo i dati della stessa Agenzia europea per le sostanze chimiche, nella maggioranza dei settori industriali, inclusi quelli delle energie rinnovabili, esistono già delle alternative. “Nel 2023″, ricorda Greenpeace in un recente rapporto”, un dossier dell’Echa ne individua nel settore delle batterie agli ioni di litio, per i semiconduttori, per le pale eoliche. E molte aziende hanno già iniziato a eliminare i Pfas dai loro processi produttivi, in particolare nel settore tessile e nei beni di consumo”.