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Paragon, Mediterranea: “Il governo ha ammesso di averci spiato”. La ong dopo l’audizione di Mantovano al Copasir

"Li abbiamo beccati con le mani nel sacco", ha scritto l'organizzazione in una nota dopo le indiscrezioni sull'audizione del sottosegretario al Comitato parlamentare, che avrebbe ammesso l'utilizzo dello spyware per un'indagine preventiva dell'Aise sull'immigrazione.
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“Abbiamo appreso da fonti giornalistiche che, finalmente, il sottosegretario Alfredo Mantovano, delegato dal governo, ha ammesso che Mediterranea e i suoi attivisti sono stati spiati dai servizi segreti con il software militare Paragon Graphite perché considerati “pericolo per la sicurezza nazionale”. Lo scrive la ong in una nota, riprendendo quanto riferito anche dal Fatto Quotidiano sugli ultimi sviluppi della vicenda Paragon, lo spyware Graphite dell’azienda israeliana Paragon inserito nei cellulari di sette italiani, tra i quali attivisti di Mediterranea saving humans ed il direttore di Fanpage, Francesco Cancellato. Lo spionaggio sarebbe stato richiesto dal governo di Giorgia Meloni e autorizzato dal Procuratore generale di Roma, Jimmy Amato, per un’indagine preventiva avviata nel 2024 dai servizi segreti esterni sull’immigrazione. Mantovano avrebbe rassicurato che tutte le procedure sulle intercettazioni preventive sarebbero state rispettate. Resta un mistero l’attività relativa al giornalista Cancellato, che Mantovano avrebbe negato come già ha fatto il governo in passato. Sull’indagine in corso, il Copasir produrrà una relazione che le opposizioni chiederanno di rendere pubblica, dopo aver accusato Meloni e il suo esecutivo di tenere il Parlamento all’oscuro. Anche perché, se le indiscrezioni sull’audizione di Mantovano non fossero smentite, la nuova versione dell’esecutivo riscrive quelle precedenti.

Il caso Paragon è scoppiato a febbraio. Il governo ha detto inizialmente di non sapere nulla e in una nota di Palazzo Chigi ha dichiarato che nessuno dei soggetti citati era sottoposto a controllo da parte degli apparati dello Stato italiano. Nebbia fitta anche sui contratti con Paragon, forse in uno a servizi e polizia. Il 12 febbraio alla Camera, però, il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, afferma che “nessuno ha rescisso alcun contratto e tutti i sistemi sono pienamente operativi“. Operativi sì, ma non per spiare giornalisti o attivisti, nega categoricamente davanti al Copasir Giovanni Caravelli, il direttore dell’Aise, l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna che ammette la disponibilità dello spyware Graphite. Due giorni dopo, il 14 febbraio, il governo comunica che sì, i contratti sono stati rescissi. Il 4 marzo, il sottosegretario Mantovano dichiara che “tutto quello che si poteva dire è stato detto” con la nota di Chigi, con le audizioni segrete al Copasir dei direttori delle agenzie e ricordando che ci sono diverse procure che indagano. E aggiunge: “Qualsiasi cosa venga aggiunta in pubblico danneggerebbe l’attività di intelligence e le indagini”. Rifiutandosi di riferire in Parlamento, il governo si è reso disponibile a parlare riservatamente al Copasir, che prima di Mantovano ha ascoltato i direttori di Aise, Aisi e Dis, Caravelli, Bruno Valensise e Vittorio Rizzi, il direttore dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, Bruno Frattasi, il procuratore generale presso la Corte di appello di Roma, Giuseppe Amato, il magistrato che autorizza le intercettazioni preventive dell’intelligence e rappresentanti di Meta.

A quanto emerge, qualcosa da dire ancora c’era: che gli attivisti di Mediterraneo, compreso il cappellano di bordo, don Mattia Ferraresi, ma anche l’attivista per i diritti umani David Yambio di Refugees in Lybia, erano stati spiati per volere del governo, cosa che finora era stata taciuta, anzi negata. Quali le motivazioni che hanno giustificato l’indagine preliminare con l’utilizzo di una tecnologia invasiva come quella messa a disposizione dall’azienda israeliana? “Perché sono un pericolo per la sicurezza nazionale?”, ha chiesto oggi alla Camera il deputato Marco Grimaldi di Alleanza Verdi e Sinistra. “E meno male che l’Aise aveva escluso attività nei confronti di giornalisti e attivisti, e che Palazzo Chigi aveva escluso il coinvolgimento del governo: sono stati spiati per ordine del sottosegretario Mantovano. Doveva essere un segreto, ma l’abbiamo scoperto, la democrazia l’ha scoperto ed è ora che si sappia tutta la verità”. Resta poi il mistero dello spionaggio ai danni di Cancellato, per il quale il governo si è già detto estraneo, tanto che si era ipotizzato il coinvolgimento di una procura, ipotesi respinta dal Guardasigilli Carlo Nordio: “Nessun organo giudiziario ha sottoscritto contratti con Paragon”. “Nei casi già esaminati, c’è un modello preoccupante e familiare di prendere di mira gruppi per i diritti umani, critici del governo e giornalisti”, ha scritto in un primo rapporto The Citizen Lab, il team dell’Università di Toronto che ha svolto analisi forensi sui telefoni del direttore di Fanpage, Francesco Cancellato, del fondatore di Mediterranea Luca Casarini e dell’armatore Beppe Caccia, rilevando che i circa 90 obiettivi notificati da WhatsApp in Europa “rappresentano probabilmente una frazione del numero totale di casi Paragon”. Il team è al lavoro su una relazione che potrebbe chiarire chi ha spiato Cancellato.

“Prima considerazione: li abbiamo beccati con le mani nel sacco”, attacca Mediterranea nella sua nota. “Questa “legale” ma illegittima attività che colpisce attivisti e oppositori politici del governo nei loro piani non doveva venire alla luce”. Ancora una volta, visti gli obiettivi dell’attività di spionaggio, la ong lega tutto ai rapporti dell’Italia con la Libia, e alla liberazione del carceriere Almasri, ricercato dalla Corte penale dell’Aja per crimini contro l’umanità e riportato in patria dal governo italiano. “Proprio l’Aise, il servizio segreto estero che spia noi, cura i rapporti in Libia con questi criminali. Dunque: chi si adopera per salvare vite, per aiutare donne, uomini e bambini prigionieri nei lager o abbandonati in mezzo al mare, per questo governo è un “pericolo per la sicurezza nazionale”, chi invece uccide persone innocenti e accumula milioni di euro attraverso affari criminali, è sotto protezione. Questa realtà dei fatti viene disvelata davanti agli occhi del mondo, e non vi è ormai più nulla di segreto”. Ancora: “Terza considerazione: non è finita qui. Il sottosegretario Mantovano è la “mente” che ha ispirato e guidato le attività di spionaggio contro di noi. Tenta di coprirsi attraverso l’alibi della “legge”. Ma per autorizzare una attività del genere senza violare la Costituzione devono esserci “fondati motivi“, si legge nella nota che lo definisce un “abuso di potere, non altro”.

Un ulteriore sospetto, da parte della ong, riguarda proprio lo strumento di Paragon: “Siamo convinti che non ci fosse alcun bisogno di usare questo software militare per spiarci: da un lato siamo sottoposti da quando esistiamo a ogni tipo di controllo, anche attraverso l’utilizzo di intercettazioni ambientali, telefoniche, pedinamenti e quant’altro. Tutto questo è parte delle inchieste giudiziarie condotte in questi anni nei nostri confronti, alle quali non ci siamo mai sottratti, e che sempre hanno dimostrato l’assoluta estraneità al reato che ci viene sempre contestato: il famigerato “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina””. E infine i sospetti e le accuse: “Cosa cercavano dunque i servizi segreti, e in particolare l’Aise, attraverso lo spionaggio? Forse nomi e cognomi di rifugiati potenziali testimoni presso la Corte Penale Internazionale, dei crimini commessi dai capi milizie in Libia, con i quali il governo collabora? Le informazioni carpite dai nostri telefoni a chi dovevano arrivare? Ai vari Almasri, Trebelsi, Al Kikli? La differenza tra le intercettazioni disposte da qualche procura e queste, definite preventive e inutilizzabili nei processi, è che si tratta di materiali utili solo a costruire dossier, schedature, etc e dunque anche “scambiabili” con i propri partner criminali in cambio magari di qualcos’altro. Dopo due mesi dunque, il “segreto di Stato” è miseramente crollato”. Al lavoro sono ora cinque procure: Venezia, Palermo, Napoli, Bologna e Roma, col coordinamento della Procura antimafia.

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