Ponte Morandi, Castellucci in aula: “Il mio bonus andato alle famiglie delle vittime”. Ma loro: “Mai visto un euro”

“Mi sento tuttora responsabile, ma non colpevole“. Dopo aver rifiutato di farsi interrogare, l’ex ad di Autostrade Giovanni Castellucci rende un lungo fiume di dichiarazioni spontanee in aula al termine del dibattimento di primo grado per il disastro del ponte Morandi, il viadotto autostradale di Genova che collassò il 14 agosto del 2018 uccidendo 43 persone. “Per tutti questi anni ho cercato di essere silente perché ho pensato che la verità dovesse uscire in maniera piena e libera, peraltro su un ponte che io conoscevo solo di sfuggita. Oggi sono qui per dire tutto ciò che so e che ho fatto per dare il mio piccolo contributo alla verità“, dice l’ex manager, a capo della concessionaria dal 2005 al 2019, il più importante tra i 58 imputati nel processo. “Qualche giorno dopo il crollo ho dichiarato che ci sentivamo responsabili e lo feci per tagliare sul nascere ogni discussione sulle nostre responsabilità. Dissi che noi ci sentivamo responsabili e io mi sento tuttora responsabile sulla gestione, non in termini di colpa, ma eravamo coloro che avevano la gestione del bene”, afferma di fronte ai giudici, ai pm e a otto familiari delle vittime presenti nella tensostruttura allestita per il processo nel cortile del palazzo di giustizia del capoluogo ligure.
“Questa tragedia mi ha colpito nel profondo, sono stato consapevole della sua dimensione per le vite spezzate, per l’assurdità della morte. È stata una sconfitta per tutti, per la collettività, per l’azienda. Io ero ad della società che ha gestito il ponte e questo peso lo sento ancora adesso. Sono stato tra i primi ad arrivare, ho cercato di aiutare nei comitati di crisi, mi sono messo a disposizione del presidente della Regione ma con ammirazione verso chi gestiva la crisi, verso chi salvava vite, chi stava scavando. E ho sentito la frustrazione di non potere essere utile se non accelerando quello che potevo fare”, dice ancora Castellucci. “Ho chiesto e ottenuto che tutte le vittime fossero indennizzate. Il mio bonus (3,7 milioni nell’anno del crollo, ndr) l’ho devoluto a favore delle vittime, per supportare gli studi dei figli”, sostiene. “Spero che questi contributi siano andati a buon fine, io non ne so più nulla perché non ho più rapporti con Aspi e Atlantia”, la ex controllante di Autostrade, di proprietà della famiglia Benetton.
I parenti dei 43 morti, però, smentiscono categoricamente: “Una delle più grosse menzogne da parte del signor Castellucci, non abbiamo visto un centesimo da lui, ma anche fosse la vita di una persona non ha prezzo, lui sicuramente non è stato vicino a nessuno tantomeno non abbiamo ricevuto un euro dei suoi soldi sporchi, questo intendo sottolinearlo”, attacca Paola Vicini, mamma di Mirko, trentenne operatore dell’azienda dei rifiuti genovese, l’ultima delle vittime trovate sotto le macerie del ponte. “Lui è andato a cena la sera stessa del crollo, io aspettavo il cadavere di mio figlio, altri erano in obitorio. Meno male che lui è sollevato, noi il peso ce lo abbiamo. Lui è libero da sei anni, noi siamo all’ergastolo. Se volesse parlarci gli sputerei in faccia”, si sfoga. Sulla stessa linea la portavoce del Comitato dei familiari, Egle Possetti, che nel disastro ha perso la sorella, il cognato e due nipoti: “Ha detto che ci sono questi bonus per le vittime ma noi non ne sapevamo nulla. Adesso ci informeremo perché se ci fossero questi fondi che lui ha dedicato alle vittime potremo utilizzarli per pagare le spese processuali che ogni famiglia del comitato sta pagando profumatamente. Questa è una vicenda paradossale, come sono paradossali le dichiarazioni che stiamo sentendo in questi giorni e anche l’arroganza di certi testi”.
Castellucci sostiene che sul viadotto “i lavori erano continui“: sulla struttura, dice, “si investiva con regolarità, sicuramente negli ultimi tre anni”. Eppure, nella maxi-perizia depositata in fase di incidente probatorio (un’anticipazione del processo in fase di indagine) i quattro ingegneri incaricati dal gip avevano denunciato che l’ultimo intervento di manutenzione della pila 9, quella che innescò il crollo, risaliva al lontano 1993, 25 anni prima del disastro. “I costi per le manutenzioni non sono mai calati” e “avevano un importo superiore a quello previsto dai contratti”, dice ancora l’ex manager. Magari non saranno calati, ma di certo gli importi erano infimi: a partire dal 1999, anno della privatizzazione di Autostrade, la spesa media annua è passata da 1.338.359 euro (3.665 € al giorno) a 26.149 euro (71 € al giorno), con un decremento pari al 98,05%. Più in generale, dei 24.578.604 euro investiti dal 1982 al 2019 per le manutenzioni, solo 488.128 sono stati spesi nei vent’anni di gestione Benetton: l’1,99% del totale.
Le dichiarazioni dell’imputato hanno provocato la reazione indignata dei familiari delle vittime, che si sono sfogati con i cronisti presenti. “È chiaro che la società è responsabile, aveva in carico questa infrastruttura nel momento in cui è avvenuto il crollo. Le colpe le stabiliremo qui ma sicuramente qualche colpa di qualcuno ci sarà, perché il ponte non è caduto per un evento catastrofico, un meteorite o quant’altro e i nostri cari non hanno deciso di suicidarsi. Tutti stanno dicendo in aula che hanno fatto tutto bene, a questo punto cercheremo di capire chi ha sbagliato”, ha detto Possetti. Per Emmanuel Diaz, fratello del trentenne Henry, “Castellucci più di molti altri ha un debito con la verità enorme, è l’anello di congiunzione tra questa tragedia e la famiglia Benetton, conosce delle verità che sono state nascoste, conosce l’operato reale di Aspi e Atlantia”. “Provo rabbia, pena e sdegno, perché lui era responsabile, non può dire “non sapevo” o “non me l’hanno detto”, si sta arrampicando sugli specchi, non è dignitoso, perciò mi fa pena”, commenta Giovanna Donato, ex moglie del portuale Andrea Cerulli.