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Ho visitato una scuola steineriana: così ho capito che alla statale manca la riflessione pedagogica

Nelle loro aule non c’è la cattedra, la lavagna è a libro, i bambini usano le mani per lavorare il legno, non usano i pc, non hanno voti
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Nella scuola statale italiana c’è tutto ma manca l’essenziale: la riflessione pedagogica. L’ho capito visitando recentemente una scuola steineriana in Toscana. Per chi non lo sapesse è un approccio educativo sviluppato a partire dal 1919 su indicazioni di Rudolf Steiner che credeva nella tripartizione dell’uomo (corpo, anima e spirito). Da lì discende l’ideale di educare in modo armonioso le facoltà cognitivo-intellettuali (pensiero), quelle creativo-artistiche (sentimento) e quelle pratico-artigianali (volontà) dell’allievo.

Nelle loro aule non c’è la cattedra, la lavagna è a libro, il “sacro” e la spiritualità fanno parte della vita scolastica, i bambini usano le mani per lavorare il legno, celebrano le stagioni, non usano i pc, non hanno voti. Il sussidiario non esiste ma è fatto dagli stessi studenti, anche se sui banchi non mancano tanti libri di narrativa. Le pareti delle sezioni sono colorate e alla pulizia dei bagni provvedono i genitori degli studenti. I maestri non vengono scelti con un concorso – chiaramente – ma entrano a far parte della scuola a seguito di un percorso di formazione specifico. Certo stiamo parlando di una scuola paritaria laica con tariffe e genitori che la scelgono, ma ciò che mi ha fatto pensare è che, indipendentemente dal credere o meno a questo specifico approccio educativo, dietro queste scuole c’è una riflessione pedagogica, un cammino comune, una direzione ben precisa. C’è l’elaborazione di un pensiero, in questo caso quello di Steiner, che nella Statale non esiste.

La Statale ben che vada ha qualche esperienza legata alla Montessori o al metodo “Senza zaino” o ancora al modello “Dada” acronimo di didattiche per ambienti di apprendimento. Nella scuola statale ci può essere il preside che lascia statue della Madonna in giro per i corridoi o altri che festeggiano la fine del Ramadan; ci può essere l’insegnante che è appassionato di digitale e quello che proprio non lo usa per scelta o perché non lo sa adoperare. C’è chi insegna facendo verifiche su verifiche, calcolando la percentuale dei voti fin dalla primaria e chi non li dà come faceva Alberto Manzi.

Non è tutto oro quello che luccica nemmeno nelle scuole steineriane e sicuramente aprirei un dibattito sul proibizionismo digitale, ma la “nostra” Scuola non può continuare a vivere di un apparato statale fatto da burocrati che poco ne sanno di pedagogia. Abbiamo urgenza di fare una rivoluzione: iniziare a pensare!

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