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Crosetto: “Non esistono scenari bucolici, c’è chi si prepara alla guerra. Devo sapere se l’Italia può difendersi”

Il ministro della Difesa ha parlato alle camere riunite della sicurezza dell'Italia: "Presto potremmo aumentare il numero di militari"
Crosetto: ‘C’è chi si prepara alla guerra, devo sapere se l’Italia può difendersi’.
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Pessimismo, previsioni cupe e necessità di riorganizzare la Difesa italiana. Nel suo intervento nelle comunicazioni alle Commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato, il ministro Guido Crosetto ha parlato a lungo, ma sono questi i concetti più importanti che ha espresso, se si vuol sintetizzare al massimo. Ce n’è anche un altro: azione. L’esponente di FdI sostiene che l’Italia e l’Europa siano arrivate al punto di dover fare i conti con la propria sicurezza e prendere provvedimenti rapidi. Tutto mentre a Parigi Giorgia Meloni prende parte al cosiddetto ‘summit dei volenterosi in cui si discute, tra le altre cose, anche dell’invio di truppe europee in Ucraina.

“Nessuno può pensare di costruire la sicurezza di un Paese prevedendo scenari bucolici, anche se vorremmo prevederli – ha esordito il titolare della Difesa italiana – La pace è equilibrio tra forze. L’obiettivo è un equilibrio verso il basso, il disarmo tra due parti. Ma quando una parte è armatissima e l’altra no, la pace è difficile da mantenere”. Parole che non devono essere interpretate, che annunciano un piano di riarmo da parte dell’Italia e, inoltre, escono dalla posizione prudente nella quale il ministro si era sempre tenuto parlando di ulteriori investimenti nel campo degli armamenti. Per giustificare questa lettura della situazione securitaria in Europa, Crosetto prende ad esempio i Paesi Baltici e la Polonia: “Agiscono come se la guerra fosse alle porte e dovesse cominciare in due o tre anni”.

Dopodiché sembra preannunciare massicci interventi da parte del suo dicastero: “Il ministro della Difesa non deve porsi la domanda di rispondere ogni giorno alle provocazioni giornalistiche, ma deve chiedersi ‘se l’Italia domattina subisse un attacco di tre ore come quello ricevuto da Israele sarebbe in grado di difendersi?‘. Se la risposta è no, deve agire. Il suo compito è impedire che quelle bombe cadano sulle città, sugli ospedali, sull’Italia. Il tempo con cui deve rispondere, tre ore, sei ore, due giorni, un mese, è una risposta politica. Ma la necessità di rispondere a un attacco di quel tipo non è un fatto politico, ma quello che deve fare il ministro della Difesa, qualunque sia la coalizione che lo regge”.

Le soluzioni alla situazione preoccupante che il ministro tiene a disegnare non sono semplici da trovare: “Sono stati fatti sforzi diffusi per portare tutti gli attori a produrre, quanto prima, avvicinamenti concreti al tavolo dei negoziati. L’Ucraina sta lottando per tornare, finalmente, a una vita normale e sicura e per avere una pace giusta e duratura, come è sotto gli occhi di tutti. Ma negli ultimi mesi gli attacchi russi hanno registrato un incremento di intensità e portata, colpendo indiscriminatamente obiettivi militari e infrastrutture pubbliche, in particolare energetiche. Si è registrato un aumento delle vittime per effetto dell’uso intensivo di droni, missili a lunga gittata e fuoco d’artiglieria. La guerra è tutt’altro che conclusa“.

Una prima iniziativa, però, il ministro sembra già averla in mente e riguarda l’aumento del numero di militari: “Nei prossimi mesi o anni le Camere dovranno decidere su un nuovo modello di difesa che preveda un aumento di organico, così la formazione, gli investimenti in difesa“. E ha poi voluto rispondere a chi sostiene che si tratta solo di riarmo non legato a reali esigenze di difesa: “In questi giorni si sente spesso parlare di riarmo. Noi continuiamo a sostenere che l’interesse dell’Italia non è perseguire il riarmo ma costruire la difesa. Il nostro interesse è dare a questo Paese uno strumento di difesa efficiente e in grado di assolvere i compiti che la legge e la Costituzione dà alla difesa di un Paese. Oggi la mancanza di investimenti, che dopo la caduta del Muro sono scesi drasticamente, richiede una accelerazione, sia per il personale dove i numeri sono stati tarati in un’altra epoca storica che sta cambiando profondamente, sia per formazione e investimenti”.

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