La Germania contro i dazi di Trump: “Serve fermezza”. E l’Ue assicura: “Risponderemo”

Lo ha definito il “Liberation Day”, il giorno della liberazione dell’America: data 2 aprile, momento in cui scatteranno i dazi reciproci nei confronti di 15 Paesi. Donald Trump ha colpito duro le auto straniere importate negli Stati Uniti imponendo una tassa del 25% “permanente” a partire da quella data.Un provvedimento che anche oggi ha fatto virare i titoli del settore in negativo, mentre il presidente avverte Europa e Canada: se coordinerete azioni contro gli Usa, arriveranno nuove tariffe.
A reagire per prima è la Germania: per il ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck l’Ue deve “rispondere con fermezza”, e anche la vice presidente della Commissione Ue per la transizione giusta, Teresa Ribera, parla di “pessime notizie. Ci dispiace – ha detto arrivando al Consiglio Ue Ambiente a Bruxelles – che l’amministrazione americana stia giocando contro il buon funzionamento del mercato globale. Dobbiamo capire in quali termini esattamente vogliono metterli in atto ma siate certi che risponderemo di conseguenza”.
“C’è una forma di paradosso nel vedere i principali alleati degli Stati Uniti essere i primi a essere tassati”, ha detto il presidente francese Emmanuel Macron. “Non è una buona idea economica. Spero che forse (…) il presidente Trump sarà in grado di invertire questa decisione”, ha chiosato. “Una corsa alle misure protezionistiche avrà solo effetti e impatti negativi. Per tutti, a cominciare dal Paese che li impone”, ha segnalato il ministro spagnolo di Economia e Impresa, Carlos Cuerpo.
Più cauto Tajani, che sceglie la via già suggerita da Meloni e fa riferimento all’azione di Bruxelles: “Dobbiamo risolvere tutto con la diplomazia. Ho grande considerazione del Commissario europeo Sefcovic, è persona di buon senso, sa trattare e tutelare gli interessi delle imprese europee e italiane. La guerra dei dazi non conviene a nessuno”. Anche perché “la prima trattativa è quella europea, poi noi possiamo indirizzare i partner ma non è che facciamo noi la trattativa diretta. Noi possiamo scegliere di puntare più sulle esportazioni agroalimentare, sull’esportazione di altri settori, ma la trattativa complessiva sui dazi la fa l’Unione europea“.
Opta per la linea morbida e del dialogo pure il Regno Unito che, ha dichiarato il cancelliere dello scacchiere Rachel Reeves, “non ha nessuna intenzione di intensificare la guerra commerciale con gli Stati Uniti. Le guerre commerciali non fanno bene a nessuno – ha continuato -. Ci saranno prezzi più alti per i consumatori che faranno aumentare l’inflazione dopo che abbiamo lavorato così duramente per tenere sotto controllo l’inflazione e, allo stesso tempo, renderanno più difficile per le aziende britanniche esportare”. Dicendo che “ci aspetta una settimana importante”, la ministra dell’economia britannica ha affermato che “stiamo cercando di garantire un rapporto commerciale migliore con gli Stati Uniti”.
Negativo rispetto alle nuove misure anche il Giappone, che definisce l’applicazione dei dazi “estremamente spiacevole“, precisando che potrebbe avere un “grande impatto sui legami economici bilaterali, sull’economia globale e sul sistema commerciale multilaterale”. Tokyo ha allo studio “contromisure appropriate”, ha detto il premier nipponico Shigeru Ishiba, spiegando che sta considerando “tutte le opzioni disponibili”. La Cina invece è convinta che gli Usa stiano strumentalizzando la questione fentanyl – ovvero l’incapacità del Dragone di fermare i flussi della droga sintetica, responsabile di circa 100mila morti all’anno in America – come “scusa per aumentare le tariffe, il che trasformerà solo un punto di cooperazione in un altro punto di attrito”. Pechino ha però rigettato l’offerta di eventuali concessioni su questo fronte in cambio del via libera alla vendita di TikTok, che per evitare il bando negli Usa deve cambiare proprietà. Per il portavoce del ministero degli Esteri Guo Jiakun, le tariffe sulle auto “violano le regole dell’Organizzazione del commercio (Wto) e minacciano il sistema del commercio basato sulle regole”. La posizione del Dragone, ha aggiunto, è “consistente e chiara”: le tariffe “non aiuteranno gli Stati Uniti a risolvere i suoi problemi” e “le guerre commerciali non avranno alcun vincitore”.
Il comparto auto – Guardando le reazioni interne, il sindacato United Automobile Workers si è detto favorevole alla misura – che, affermano, “segnala un ritorno a politiche che danno priorità ai lavoratori che costruiscono questo Paese, piuttosto che all’avidità di aziende spietate” – è “cruciale” per i grandi costruttori automobilistici americani che i dazi non facciano “aumentare i prezzi per i consumatori”, hanno avvertito giovedì Ford, GM e Stellantis tramite un comunicato dell’associazione professionale dei costruttori americani (AAPC)
I tre principali gruppi automobilistici hanno dichiarato che continueranno a lavorare con il governo per sviluppare “politiche sostenibili che aiutino gli americani”, ma chiedono che venga preservata la “competitività” della produzione automobilistica “nordamericana”, che include anche Canada e Messico. Per il tycoon la mossa servirà a stimolare la produzione nazionale, ma rischia di mettere a dura prova le finanze delle case automobilistiche che dipendono dalle catene di forniture globali e tradursi in costi più elevati per i consumatori americani.
Così di sicuro pensano i mercati che hanno reagito molto male alla notizia: Wall Street ha chiuso in rosso ancora prima dell’annuncio ufficiale ed è calata ulteriormente dopo, mentre la maggior parte delle azioni delle case automobilistiche hanno lasciato sul terreno circa il 2-3%, da General Motors a Stellantis. Intanto l’Acea, l’associazione europea dell’industria delle auto, si dice “profondamente preoccupata” e chiede a Trump di “considerare l’impatto negativo non solo sui produttori di auto globali, ma anche sulla produzione nazionale statunitense. I dazi non incideranno solo sulle importazioni negli Stati Uniti – dice – una penalizzazione che probabilmente pagheranno i consumatori americani, ma le misure sui componenti automobilistici danneggeranno anche le case automobilistiche che producono auto negli Usa”.
La misura impatta anche Elon Musk, come conferma lui stesso: “È importante notare che Tesla non è indenne da questa situazione. L’impatto delle tariffe su Tesla è significativo”, ha dichiarato su X, confermando così quanto dichiarato da Trump: il presidente aveva infatti negato che le misure fossero un favore al first buddy, le cui auto sono già fabbricate in impianti americani.
Le minacce a Europa e Canada e i calcoli del Giappone – Trump resta comunque sul piede di guerra nei confronti di Unione Europea e Canada: se riterrà che stiano coordinando le loro azioni a scapito degli Stati Uniti, in risposta alla guerra commerciale avviata da Washington, allora arriveranno nuovi dazi. “Se l’Unione Europea collabora con il Canada per danneggiare economicamente gli Stati Uniti, verranno imposti dazi su larga scala, ben più elevati di quelli attualmente previsti, per proteggere il miglior amico che entrambi questi Paesi abbiano mai avuto!”, ha scritto Trump sul social network TruthSocial.
Il Giappone intanto calcola già l’impatto dei dazi sulla propria industria: secondo le stime del National Graduate Institute for Policy Studies (Grips), un ente governativo nipponico, tariffe del 25% sulle importazioni dal Messico e dal Canada ridurrebbero le esportazioni annuali di auto giapponesi del Messico verso gli Stati Uniti di 65,5 miliardi di dollari, e quelle del Canada di 43,3 miliardi di dollari. Intanto la reazione sul mercato non si è fatta attendere: all’apertura delle contrattazioni alla Borsa di Tokyo, il titolo della Toyota ha segnato un meno 3,7%, Honda e Nissan hanno lasciato sul terreno oltre il 3% e la Mitsubishi quasi il 4%.
Il punto – La misura del presidente americano potrebbe anche innescare ulteriori scontri commerciali con l’Unione europea, in particolare Paesi come Germania e Italia, ma anche Giappone e la Corea del Sud. Quasi la metà di tutti i veicoli venduti negli Stati Uniti, infatti, sono importati come è d’importazione quasi il 60% delle parti dei veicoli assemblati negli Usa. E infatti non si è fatta attendere la reazione di Bruxelles, con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen che si è detta “profondamente rammaricata per la decisione degli Stati Uniti di imporre dazi sulle esportazioni automobilistiche dell’Ue”.
“Le tariffe sono tasse: dannose per le aziende, peggiori per i consumatori, negli Stati Uniti e nell’Ue. L’Ue continuerà a cercare soluzioni negoziate, salvaguardando al contempo i propri interessi economici”, ha aggiunto. Von der Leyen ha poi avvertito gli Usa che “in quanto grande potenza commerciale e forte comunità di 27 Stati membri, proteggeremo congiuntamente i nostri lavoratori, le imprese e i consumatori in tutta”. Reazioni anche da Ottawa, con il premier Mark Carney che ha definito i dazi sulle auto “un “attacco diretto” al Canada.
Non è chiaro se i pezzi di ricambio per auto saranno esclusi dalle tariffe imposte dalla Casa Bianca: quel che è certo è che saranno “permanenti”, “si aggiungeranno a quelli esistenti” ed entreranno in vigore il 2 aprile. Il ‘Liberation day’, quando saranno annunciate le tariffe reciproche ai “dirty 15”, ossia ai 15 Paesi con cui gli Usa hanno il peggior squilibrio commerciale, tra cui Paesi dell’Ue. L’Europa ha già stilato un pacchetto da 26 miliardi di euro di dazi che si applicheranno dal 12 aprile. Alcune delle tariffe sono state posticipate dal 1° aprile per timore di una risposta ancora più dura da parte di Washington. La Francia, ad esempio, ha convinto Bruxelles a rinviare l’imposizione del 50% sul bourbon dopo che Trump ha dichiarato che in cambio avrebbe colpito champagne e vino con dazi del 200%.