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Sono i valori di gentilezza e cura ad agire da rimedio contro la brutalità di questo tempo

La cura non ha bisogno di sofismi intellettuali, può diventare grazia attraverso semplici gesti quotidiani
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di Dafni Ruscetta

Nelle scorse settimane l’attenzione e il dibattito pubblico in Italia sono stati per qualche giorno richiamati, durante il festival di Sanremo, sul tema del prendersi cura, grazie alla sensibilità del bravo Simone Cristicchi. Era naturale farsi coinvolgere emotivamente da quelle parole, evocative di immagini di persone amate, anziani ormai fragili come spesso lo sono anche i bambini. Il grande merito di Cristicchi è l’aver avuto il coraggio di renderci più liberi, consentendoci di tornare a piangere senza provare vergogna, perché grazie a quel testo ci siamo rivisti nel video delle nostre molte realtà quotidiane, nelle forti emozioni verso coloro che ci hanno insegnato a camminare mostrandoci quella strada che talvolta hanno smarrito sul viale del tramonto.

Viviamo nell’epoca in cui la brutalità, la prepotenza e l’arroganza sono il segno distintivo dei forti e il cinismo più rozzo pervade la coscienza collettiva. La consuetudine all’edonismo nelle società occidentali – con la continua ricerca di piccoli piaceri quotidiani – ci ha resi egoisti, indifferenti persino alle atrocità perpetrate ai confini dell’Europa, non ci turbano ormai nemmeno le immagini di “quei corpi in terra senza più calore”. Tornare a commuoversi, non come momento di sofferenza ma come occasione di liberazione, può diventare la medicina per la cura di questo tempo malato. Consapevole che la storia sia fatta di cicli e che le conseguenze peggiori della deriva politica e antropologica dovremo ancora vederle negli anni a venire, alcuni spunti o coraggiose testimonianze che coinvolgono la dimensione spirituale e del cuore – come quella di Cristicchi appunto – sono il seme che germoglierà dopo questo freddo inverno a cui ci stiamo preparando, in attesa di una nuova primavera.

Un altro testimone coraggioso di questo tempo, il teologo Vito Mancuso, in un articolo apparso su La Stampa del 9 marzo, indicava le pratiche dello studio, della meditazione, della silenzio e della preghiera come antidoti contro l’affermarsi delle peggiori qualità umane, in grado di salvaguardare la coscienza morale dall’odio e dalla stupidità.

Parlare di cura è dunque fondamentale. Prendersi cura è un’attività naturale, incondizionata, che ci riporta ai primordi dell’esistenza, perché quando nasciamo qualcuno si è già preso cura di noi. La cura non ha bisogno di sofismi intellettuali, può diventare grazia attraverso semplici gesti quotidiani: nel calore di un abbraccio, nel tocco leggero di una mano che ci sfiora, anche attraverso il silenzio. Questa pratica – che riguarda un’altra sfera dell’essere, la coscienza, le profondità della psiche – si esprime perlopiù attraverso la forza della gentilezza, con cui si realizza la nostra dimensione umana. Lo stato di completezza, di libertà nello “sfiorare che si trattiene dall’afferrare” – secondo un’espressione di François Cheng – che si sperimenta in quei di momenti di rivolgimento spirituale, trasforma la tragedia in bellezza, aiuta a percepirsi amati e custoditi qualunque cosa accada.

In questo senso, come sostiene Massimo Cacciari su La Stampa, libero è colui che si pone come obiettivo quello di liberare. Questo essere semplicemente presenti, fino all’ultimo, accanto agli anziani tornati ‘bambini’ è l’esempio più naturale di accompagnamento, di gentilezza, di compassione, perché ogni vita è sensibile all’amore, anche una pianta percepisce se l’amiamo. Ecco perché la canzone di Cristicchi ci fa piangere, o perché ci emozioniamo davanti alla potenza degli insegnamenti di dedizione e amore che San Francesco ha mostrato verso tutti gli esseri.

Sono questi i valori che rendono unica l’esistenza e che possono agire da rimedio contro la brutalità; sono le virtù che, citando un altro grande osservatore non più di questo tempo, Franco Battiato, si concretizzano nella cura, nella protezione dalle paure e dai turbamenti, dalle ingiustizie, dagli inganni del nostro tempo e che, attraverso il silenzio e la pazienza, conducono alle “vie che portano all’essenza”.

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