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Il sistema Italia è fondato su salari di fame. E non è un incidente di percorso

Trent’anni di politica della sinistra ufficiale e del sindacalismo confederale vanno gettati nel buco dove sono sprofondati i salari
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Tredici milioni e mezzo di persone sono in condizione o a rischio di povertà, quasi un italiano su quattro. Lo afferma l’Istat ed è la certificazione di un disastro sociale che ogni giorno diventa più grave, senza che se ne veda una fine. Lo stesso istituto di statistica ci fa sapere che il reddito reale delle famiglie nel 2023 è calato dell’1,6%, cioè una perdita per persona di 500 euro medi all’anno.

Ma qui arriviamo subito alla media del pollo di Trilussa, perché il calo complessivo dei redditi è composto dalla stagnazione o dalla diminuzione della entrate per l’80% della popolazione, assieme all’aumento vertiginoso di esse per il 20% più ricco. La OIL, l’organizzazione internazionale del lavoro, ci ha anche fatto sapere che negli ultimi quindici anni il salario reale dei lavoratori italiani è calato dell’8,7%, un record negativo tra tutti i paesi dell’Ocse. Questo vuol dire che rispetto a quindici anni fa il lavoratore medio italiano riceve una mensilità in meno. Cioè lavora gratuitamente per un mese, con il conseguente trasferimento del suo salario al profitto.

Tutto questo, la povertà dilagante e il crollo dei salari, non è un incidente di percorso, ma la conclusione di un processo trentennale. Facciamo un poco di conti.

Per recuperare la perdita salariale di questi anni e cominciare ad aumentare in valore reale la retribuzioni, sarebbero necessari aumenti nei principali contratti di 400 euro medi mensili. Così in circa quattro anni si potrebbero recuperare i quasi 8000 euro cumulativamente persi dai salari come potere d’acquisto e colmare il divario con l’inflazione in corso. Oggi i pochi contratti firmati assieme da Cgil, Cisl e Uil sono lontanissimi da questi livelli. Quelli del pubblico impiego che la Cisl ha già sottoscritto, o che vorrebbe sottoscrivere, con il governo Meloni e che Cgil, Uil e Usb e sindacati di base rifiutano, in realtà programmano una ulteriore riduzione del valore delle retribuzioni.

Il contratto guida dell’industria, quello dei metalmeccanici, è di fronte al rifiuto degli industriali di sedersi al tavolo di trattativa. Infine ci sono i contratti scandalosi per alcuni settori dei servizi, anch’essi sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil, con pochi euro di salario all’ora.

Per essere chiari, il sistema contrattuale italiano, come è uscito dagli accordi di concertazione del 1993 e come è stato confermato da tutti gli accordi interconfederali successivi, non permetterà mai ai salari di aumentare, perché è stato concepito per obbedire a due vincoli: quello del taglio del costo del lavoro per esportare merci e quello dell’austerità di bilancio. Se le responsabilità per il crollo dei salari vengono da lontano e coinvolgono tutti i governi e Cgil, Cisl e Uil, per il dilagare della povertà estrema c’è una colpa diretta del governo Meloni. La povertà è aumentata con l’abolizione del reddito di cittadinanza e con il rifiuto da parte della destra del salario minimo di legge. Che oggi per decenza dovrebbe essere di almeno 10 euro all’ora.

Bisogna poi sempre ricordare che le leggi contro i migranti, a partire dalla Bossi-Fini, servono in realtà anche ad imporre la schiavitù nel mercato del lavoro, per aggiungere al ricatto della precarietà, che pesa su tutti i lavoratori, quello del permesso di soggiorno che incombe su chi viene da altri paesi.

A tutto questo si aggiunge infine il taglio progressivo dei servizi pubblici e delle prestazioni dello, stato sociale, che agiscono come ulteriore riduzione del reddito per la maggioranza della popolazione.

Oggi il sistema economico italiano è organicamente incapace di frenare l’aumento della povertà e il calo delle retribuzioni perché si è strutturalmente abituato ad essi. In sintesi oggi il sistema economico italiano si fonda strutturalmente sul supersfruttamento del lavoro e non c’è misura palliativa che possa correggere questa realtà. E i piani di riarmo e l’economia di guerra, sostenuti dalla Ue e da Draghi e fatti propri anche dal governo Meloni e da buona parte del Pd, aggraveranno tutto.

Il sistema economico italiano è oramai regredito alla distribuzione del reddito e alle ingiustizie sociali di cento anni fa e non è più riformabile, ma va rovesciato. E questo rovesciamento è possibile non solo organizzando lotte e mobilitazioni, ma anche facendo in modo che esse rompano la gabbia delle compatibilità e della concertazione che da trent’anni opprime il lavoro. Bisogna colpire i profitti e l’accumulazione della ricchezza, bisogna scardinare le politiche di austerità. Trent’anni di politica della sinistra ufficiale e del sindacalismo confederale vanno gettati nel buco dove sono sprofondati i salari.

Se non si fa questo, ogni parola addolorata sulla povertà e sull’impoverimento dei lavoratori, ogni appello alla rivolta sociale, risuoneranno ipocriti e soprattutto saranno inutili.

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