Musica

“Pino Daniele era diventato il re che aveva paura”: il documentario sul mito di Napoli a cui piaceva ‘o blues, con i ricordi di Vasco, Clapton e Fiorello

In sala il 31 marzo, l’1 e il 2 aprile con Luckyred il lavoro di Francesco Lettieri con gli interventi di Vasco, Bertè, Jovanotti, Eric Clapton, Fiorello

di Davide Turrini
“Pino Daniele era diventato il re che aveva paura”: il documentario sul mito di Napoli a cui piaceva ‘o blues, con i ricordi di Vasco, Clapton e Fiorello

Le vie del documentario sono infinite. Pino di Francesco Lettieri è un curioso lavoro di scavo, di fiuto che segue tracce, di rabdomanzia sul cantautorato che fu. Perché Pino Daniele, come la sua musica, un po’ sfuggenti lo sono sempre stati. Difficile metterli entrambi a fuoco con mano ferma, tanto più se hai 39 anni e se si viene da Il segreto di Liberato, altro enigma artistico, più attuale, più 2.0 rispetto al Daniele a cui piaceva ‘o blues.

Una gamba dentro ai bassi napoletani e un’altra tra il jazz, il funky, il neapolitan power che ha scosso gli ottanta più che i settanta partenopei. Non aspettatevi la frontalità degli intervistati (voto: 8) perché parlano e molti famosi tra di loro (Vasco, Bertè, Jovanotti, Eric Clapton, Fiorello), se non tutti, non si vedono, mentre ricordano l’amico Pino. Attendetevi invece cinque inserti di fiction (voto: boh) in cui si ascoltano cinque brani di Daniele (Cammina, cammina; Quanno chiove; Chillo è nu buono guaglione; Ossaje comme fa o core; Allora sì) e intanto si seguono cinque brevi storie liminali di vita contemporanea napoletana (tre ragazze straniere che fanno la vita; il trans che canta e balla; ecc…).

Certo Pino Daniele era lungimirante, guardava avanti: “Il pugno chiuso lo teneva dentro, era per la giustizia sociale”, spiega Enzo Avitabile, ma non è che la grandiosità deve celarsi sempre nel politico. Anzi nella musica conta la talentuosa intuizione degli accordi, l’improvvisa levità di un verso poetico, il fatto che un brano rimanga nei secoli anche solo perché gira bene. E allora chi è e cos’è Daniele nel Pino di Lettieri? È qualcosa di cui artisticamente se ne intuiscono i contorni ma che scivola inevitabilmente tra le mani come una saponetta. Daniele doveva essere uno stewart dell’Alitalia (come volere delle amorevoli zie), ma finì per incidere il primo 45 giri per la EMI correndo a Roma con la Cinquecento della fidanzata – Dorina Giangrande – baciandola per la prima volta nel bagno di un bar dell’Eur.

Daniele era uno dell’evo delle musicassette e delle sale prove con una sola presa di corrente. Uno che si ritrovò praticamente senza servizio d’ordine mentre a Piazza del Plebiscito a Napoli nel 1981 si accalcarono più di 100mila persone per ascoltare lui, James Senese, Tullio De Piscopo, Tony Esposito, Rino Zurzolo, Joe Amoruso, quando la sua fama era appena brillata consolo tre album all’attivo. Quell’onda molto napoletana non ha spiegazioni razionali. “Era diventato Napoli”. “Era diventato il re che aveva paura”, ricorda qualche compagno di viaggio che sinceramente ci sfugge ma che ci fa capire di questa valanga umana e popolare per un uomo che scartabella e ricompone un suono mediterraneo, pitturandolo con la famiglia del blues facendo bingo.

Lettieri intraprende la falsa pista del possibile inedito, complice il co-autore dello script, il critico musicale Federico Vacalebre in veste di camminante intervistatore, e Alex, il secondogenito di Pino e Dorina. Inedito che alla fine, verso i titoli di coda sbuca pure (Tiene ‘mmano). Ma appunto Pino Daniele non è solo, non è tutto in quel brano. E non è nemmeno solo e tutto in quella stracolma piazza del Plebiscito. Sfugge invece di continuo tra abitazioni e luoghi (Napoli, Formia, la Maremma) e Pino, il film, sembra come essere un gioco del gatto col topo. Il cantante che sembra rallentare per problemi di salute gravissimi, ma che di nuovo scatta nel comporre un duetto storico e divertito con Massimo Troisi (c’è un vhs con Pino sul divano di casa Troisi che suonicchia Quando per Pensavo fosse amore…).

Di nuovo la frenata coi medici a portata di palco e ancora il live a Caracalla in bianco e con una line-up talmente essenziale da registrarne in diretta i propri respiri. Difficile comprendere dove finisce l’ordinario e inizia il mito. Mirabile comunque l’apertura con i super 8 che gonfiano la vita di una soggettività autentica e semplice, tra pastori tedeschi, figli piccoli e un treno che sfreccia a pochi metri tra le teste. E forse l’essenza totale di Pino Daniele sta proprio lì, nella banalità di un signor qualunque che riprende i familiari come fossero in un home movies qualsiasi. In sala il 31 marzo, l’1 e il 2 aprile con Luckyred.

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