Prima corvi, ora gufi: chi ha paura del ritorno di Papa Francesco in Vaticano

Un alone di mistero avvolge Casa Santa Marta da quando, il 23 marzo, Papa Francesco vi ha fatto ritorno dopo trentotto giorni di ricovero al Policlinico Gemelli per una polmonite bilaterale. Il secondo piano, dove vive Bergoglio, è blindatissimo. Bocche cucite, mascherine obbligatorie e misure di sicurezza altissime. La parola chiave, anche per i sacerdoti ospiti della residenza pontificia, è “isolamento”. Nessuno deve salire al secondo piano, nemmeno per lasciare la posta. Le prescrizioni mediche per la convalescenza papale devono essere rispettate al massimo. Francesco è molto fragile, come si è visto nella brevissima apparizione sul balconcino del quinto piano del Gemelli prima del ritorno in Vaticano, e non può assolutamente essere esposto ad alcun rischio di ulteriore contagio che ne minerebbe definitivamente il fisico.
Eppure, stavolta, all’interno dei sacri palazzi, c’era chi non avrebbe scommesso sul suo ritorno. Prima corvi e ora, che l’augusto inquilino è tornato a Casa Santa Marta, gufi. C’è paura diffusa per il suo rientro in Vaticano e in particolare per il modo in cui potrebbe ridisegnare gli equilibri della Curia romana, viste le dichiarazioni, a volte davvero molto improvvide, e le evidenti mosse di pre conclave durante il suo lungo periodo di degenza al Gemelli. A dimostrare il clima abbastanza rovente all’interno del Collegio cardinalizio sono state le dichiarazioni di un fedelissimo di Francesco, il cardinale Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo, confratello gesuita di Bergoglio e relatore generale del recente Sinodo dei vescovi sulla sinodalità: “Un delegato non è un vice-Papa! Un delegato fa ciò che il Papa gli dice di fare. Se un delegato appare come un vice-Papa sarebbe nefasto per la Chiesa. Chiunque esso sia, di qualsiasi orientamento”.
Un modo molto eloquente per giocare d’anticipo, nella chiara consapevolezza che Francesco, negli almeno due mesi di convalescenza prescritti dai medici, avrà bisogno di delegare tutti gli impegni della sua agenda. La preoccupazione di Hollerich che un delegato papale possa apparire come un “vice-Papa”, e quindi sembrare l’erede naturale di Bergoglio in un futuro conclave, è evidentemente indirizzata alla Segreteria di Stato. Durante il lungo ricovero papale, infatti, soltanto il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, e il sostituto della Segreteria di Stato, l’arcivescovo Edgar Peña Parra, sono stati ammessi, per ben tre volte, al cospetto dell’augusto paziente. Parolin, quando sarà, dovrà presiedere il conclave che eleggerà il successore di Francesco e il suo è un nome molto forte all’interno della stretta cerchia dei papabili.
È evidente che Hollerich, con la fronda bergogliana che si richiama a lui, non vuole che la supplenza papale che, inevitabilmente, Parolin, con tutta la Segreteria di Stato, eserciterà nelle prossime settimane sia letta come una staffetta. Fu così, in epoche e contesti diversi, con Pio XI e il suo cardinale segretario di Stato, Eugenio Pacelli, che, alla morte del primo, nel 1939, ne divenne il successore con il nome di Pio XII. Negli ultimi tempi del regno di Achille Ratti, a chi gli domandava un’indicazione sulla sua successione, Pio XI rispondeva sicuro: “Il Papa è già in Vaticano”. Un riferimento inequivocabile proprio al cardinale Pacelli. E così fu.
Un radicale dietrofront, invece, è quello fatto dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente emerito del Pontificio Consiglio della cultura e della Pontificia Commissione di archeologia sacra. Se, infatti, nei primissimi giorni di ricovero del Pontefice si era affrettato a parlare di dimissioni (“Se è verosimile l’ipotesi che Papa Francesco si possa dimettere? Io penso che possa farlo perché è una persona che, da questo punto di vista, è abbastanza decisa nelle sue scelte”), adesso esalta la capacità comunicativa di Bergoglio, anche se privato della voce a causa della malattia (“Il Pontefice sa comunicare anche se non può parlare”). Le dimissioni papali sono diventate un argomento tabù dopo il rientro del Pontefice in Vaticano.
C’è anche chi teme che Francesco possa modificare in extremis le regole del conclave per sbarrare definitivamente la strada a candidati tradizionalisti e, quindi, ratzingeriani. Ipotesi che non ha mai avuto un minimo fondamento di verità e che ha registrato, anche recentemente, l’irritazione del cardinale Gianfranco Ghirlanda, patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta, gesuita e canonista di fiducia di Francesco. Al porporato, infatti, secondo ricostruzioni totalmente infondate, sarebbe stata affidata da Bergoglio la riforma del conclave. Voci, messe astutamente in giro nei sacri palazzi, per alimentare il panico tra i cardinali tradizionalisti come Robert Sarah, Gerhard Ludwig Müller e Raymond Leo Burke, solo per citarne tre elettori in conclave. La dimostrazione eloquente che i corvi delle settimane del lungo ricovero del Papa al Gemelli ora si sono tramutati in gufi e che le tensioni in Vaticano sono solo all’inizio.