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Trump scommette tutto sulla Russia per isolare la Cina: ma può essere un boomerang

Putin non sarà un alleato affidabile contro la Cina, e la Cina non si spaventa certo per qualche dazio in più. Ecco perché
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Trump l’ha fatta semplice, quasi troppo. Intervistato da Tucker Carlson, giornalista di destra filo-Putin licenziato da Fox News, lui che considera gli europei “parassiti” e l’Europa un blocco di nazioni “nato per fotterci”, ha dichiarato che è stato Biden per primo (preda dell’Alzheimer o del Deep State?) ad aver spinto Russia e Cina tra le braccia l’una dell’altra. E che toccherà a lui, n. 47, il prescelto, separarle. Tradotto: Putin va riportato a bordo, costi quel che costi, deve avere persino la sedia al tavolo del G8, diamogli tutto quel che vuole, in Ucraina e oltre: è la Cina che va isolata come ai bei tempi di Nixon. Perché Mosca e Pechino insieme, not good for America. Già, Trump teme la Cina.

Ma anche nei mercati rionali sanno che il mondo non è più quello degli anni 70. Allora Cina e Urss si odiavano cordialmente e la politica nixoniana del ping pong aveva un senso, oggi Pechino e Mosca vantano un’amicizia ‘senza limiti’, non esattamente complici ma, un po’ per scelta e un po’ per necessità, hanno un’alleanza solida. Trump – gli daranno il premio Nobel per la pace, altro che Obama – sogna il colpaccio diplomatico, stile Nixon-Kissinger, ma al contrario. In effetti Putin muove bene i pochi pezzi sulla scacchiera e sa far di conto: la Cina gli compra gas e petrolio che prima vendeva in Europa, l’Occidente risponde con sanzioni anti-russe a oltranza, pochi effetti interni e molti danni ai sanzionanti. Xi e Vladimir non saranno amici per la pelle, ma sicuramente sono ottimi soci in affari, in questo scenario.

Certo, qualche piccola crepa c’è: a Mosca alcuni oligarchi (tra cui Yury Valentinovich Kovalchuk – miliardario, maggiore azionista di Rossiya Bank, banchiere personale del capo del Cremlino) storcono il naso davanti alla crescente dipendenza dalla Cina, mentre Xi Jinping guarda con sospetto i flirt russi con l’India. Ma basterà qualche screzio per separare i due colossi che fino all’altro ieri rappresentavano la multipolarità? Difficile, con Trump che dà l’impressione di svendere alleati e partner strategici – “parassiti”, “non mi va di salvarli ancora” (J.D. Vance) – come fossero vecchi mobili da mandare in cantina o a Porta Portese.

Donald, è la sostanza, vuole mollare l’Ucraina e scommettere tutto su un’intesa con la Russia. Le noiose pretese degli europei altro non sono che una distrazione, un rallentamento, rispetto all’obiettivo principale. Affare da mercante in fiera, che Pechino – arrivata a 600 bombe nucleari – osserva tra lo stupefatto e l’incredulo: se Washington abbandona Kiev, domani potrebbe mollare Taiwan, ovvio. Che scenario positivo inaspettato. Trump, in verità, è prevedibile come un vecchio libro già letto, ha tre idee in testa, si sa che preferisce dazi e tariffe ai soldati sul campo e alle strategie militari, così Xi ne prende atto, con evidente compiacimento (va valutato poi se la pericolosa incompetenza del capo del Pentagono Pete Hegseth, ora di dominio pubblico dopo lo scandalo ChatGate, sia una circostanza aggravante che favorisce i cinesi, i russi, ambedue o invece incarna un puro rischio globale).

Infine ci siamo noi, l’Europa, sempre più confusi, pacifinti ma in effetti guerrafondai. Con Trump che strizza l’occhio ai movimenti di destra euroscettici, il Vecchio Continente perde le garanzie di sicurezza americane, sgretolando un fronte già poco compatto, mentre anche il famoso ombrello nucleare fornito da Washington tramite Nato è in dubbio. Tempo fa si sarebbe potuto pensare che Mosca e Pechino non aspettavano altro che vedere l’Occidente debole e diviso, per cui la strategia isolazionista di Trump avrebbe potuto fare il loro gioco, ma l’equazione adesso è tremendamente più complicata con Donald asset n.1 di Putin. E Xi Jinping? Lui punta soprattutto al benessere del proprio popolo, a far crescere l’economia vendendo merci e infrastrutture in tutto il mondo, sembra il più saggio di tutti, dopo Papa Francesco (ammettiamolo: è un segno dei tempi che la cinese Byd abbia sorpassato per vendite globali, oltre i 100 miliardi di dollari, la Tesla del filo-nazi Musk).

La strategia del tycoon potrebbe dunque ritorcersi contro l’America. Senza parlare dei dazi, che faranno male proprio agli elettori di Trump in Kentucky o Idaho, più che separare Russia e Cina, rischia di frantumare l’unità già molto precaria del cosiddetto Occidente, che in realtà non è mai esistito perché gira e rigira sono sempre gli Stati Uniti a guidare le danze. Putin non sarà un alleato affidabile contro la Cina, e la Cina non si spaventa certo per qualche dazio in più. Al contrario, Xi Jinping è pronto a sfruttare ogni passo falso di Trump per rafforzare la propria influenza globale. Insomma, l’operazione nostalgia geopolitica di Trump è destinata a diventare un boomerang ancora più grande del previsto.

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