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La frase choc di Elisa Di Francisca: “Torniamo alle punizioni e al provare sofferenza, serve da motore per vincere”

L'ex schermitrice e le controverse dichiarazioni su Benedetta Pilato: perché la sofferenza nello sport non dovrebbe essere un prerequisito per la vittoria
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“Rivedendola devo dire che ci sono andata giù pesante“. Ospite di Caterina Balivo a La Volta Buona, Elisa Di Francisca è tornata sulle sue durissime affermazioni contro Benedetta Pilato durante le Olimpiadi di Parigi 2024. La giovane nuotatrice 19enne in un’intervista aveva raccontato di essere felice per il quarto posto ottenuto ai Giochi, ma era stata ingiustamente criticata dall’ex schermitrice, che nella veste di opinionista aveva dichiarato: “Assurdo, ma che ci è venuta a fare? Io rabbrividisco”. Di Francisca oggi sostiene di aver fatto marcia indietro, ma le sue stesse parole la smentiscono: “Torniamo un po’ alle punizioni e al provare sofferenza, che serve da motore per vincere e far bene”, ha detto durante la puntata andata in onda giovedì 27 marzo sulla Rai. Una frase terrificante e inappropriata, soprattutto (ma non solo) pensando a quanto sta succedendo nella ginnastica ritmica, dove solo due giorni fa la direttrice tecnica Emanuela Maccarani è stata allontanata in seguito al processo che comincerà a Brescia per presunti maltrattamenti sulle giovani ginnaste.

Nello sport il confine tra severità e abuso può diventare sottile. È vero. Ma qui non si parla dei possibili risvolti giudiziari del caso delle Farfalle. Le parole di Elisa Di Francisca sembrano infatti alimentare quelle teorie che giustificano ogni comportamento e ogni punizione in nome della vittoria. In pratica, chi stringe i denti e sopporta in silenzio la sofferenza, prima o poi vince. Chi non è abbastanza forte resta un perdente. È un ragionamento quantomeno controverso, perché non tutti gli atleti sono uguali e il benessere mentale deve venire prima dei risultati. Tutto pur di essere vincenti è un concetto figlio di una cultura arcaica che si sta cercando di estirpare, come dimostrano le scelte di molti atleti (anche di successo) in giro per il mondo: dalla ginnasta Simone Biles che aveva deciso di prendersi un periodo di pausa da allenamenti e aspettative massacranti fino al campione dell’atletica Jacob Ingebrigtsen che insieme ai fratelli ha denunciato il padre-allenatore per la sua educazione violenta. Benedetta Pilato, campionessa del nuoto azzurro, è figlia di questa generazione che sta cambiando prospettiva. Un modo di vedere lo sport che Di Francisca, anche a distanza di mesi, non riesce a comprendere: “Ho la mia esperienza da atleta agonista, per quattro anni facciamo sacrifici e anche grazie alla sofferenza per aver perso una gara che poi riusciamo a vincere. Non volevo si mandasse il messaggio: ‘Va bene tutto‘”, ha spiegato nel salotto Rai.

L’ex schermitrice ha anche sottolineato: “Il giorno dopo mi sono scusata con Benedetta. Non volevo offenderla“. Versione che non è mai stata confermata da Pilato: “Per me le sue non erano delle scuse, ma avevo capito la situazione e non mi interessava rispondere perché me la stavo veramente godendo”, ha svelato un mese fa la nuotatrice. In effetti Di Francisca, anche da ospite a La Volta Buona, dimostra di non aver cambiato idea. Infatti ha dichiarato: “Se mio figlio torna a casa con un 2 in matematica ed è felice e contento c’è qualcosa che non va. Torniamo un po’ alle punizioni e al provare sofferenza, che serve da motore per vincere e far bene”. Poi Di Francisca ha aggiunto: “Adesso ci penso di più prima di parlare”. Pensa se non lo avesse fatto.

Se piangi, sei debole. Se sei felice per un quarto posto, non sei vincente . Eppure Benedetta Pilato aveva solo cercato di non trasformare in un dramma una medaglia di bronzo sfuggita per un centesimo di secondo. Sconfitta non può essere sempre e solo sinonimo di fallimento, soprattutto se arriva in un determinato modo. Si può provare a superare la cultura del successo che da sempre condiziona i giudizi nel mondo dello sport. Inoltre, gli sportivi, anche i campioni, hanno il diritto di poter scegliere. C’è chi vuole dedicare tutto se stesso allo sport e alla vittoria: la determinazione di Rafa Nadal, ad esempio, è giustamente un punto di riferimento per migliaia di giovani atleti che sognano un giorno di diventare campioni. Ma è anche legittimo che altri campioni scelgano invece di rinunciare alla gloria eterna, ai record. Senza per questo dover essere etichettati come codardi e perdenti. Magari vogliono solo vincere un po’ di meno ma vivere un po’ di più.

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