Il video sul kit di sopravvivenza è virale sui social: ottima mossa tecnica, ma pessima a livello etico

di Marco Marangio
“Ecco il mio kit di sopravvivenza“. Con questa dichiarazione l’infodemia bellicista sulla corsa al riarmo ha raggiunto nuovi livelli, e il format è a favore di social. Sì, perché la commissaria europea per la gestione delle crisi ha confezionato così bene il suo contenuto video che non ha tardato a divenire virale. Non solo per il suo contenuto, altamente discutibile, ma anche e soprattutto per la sua scrittura, il suo montaggio, il suo “tone of voice”. Il tutto ha un comun denominatore: essere perfetto per la fruizione, quindi condivisione, social.
Partiamo con ordine: la sua scrittura. Il video ha una durata leggermente superiore a quello che può essere definito lo standard comune di un reel. Piuttosto che durare indicativamente 30 secondi, il video della commissaria europea dura all’incirca 1 minuto e 30 secondi. Nonostante tutto, ciò non ne preclude l’engagement. Il video è scritto appositamente per attirare l’attenzione e favorirne la visione. Hadja Lahbib è vestita con un completo con una gradazione blu. Cromatura, quest’ultima, che dovrebbe trasmettere tranquillità, in netto contrasto con il contenuto del video: un kit di sopravvivenza di 72 ore da utilizzare in caso di crisi bellica. Dal kit la commissaria fa uscire un po’ di tutto: acqua, medicine e perfino una radio.
Per quanto riguarda il montaggio, il video segue tutto ciò che serve per essere favorito dai social. Anzitutto il formato verticale, ormai utilizzato per oltre il 90% dei contenuti di questo tipo. I tagli fra una scena e l’altra sono invece brevi e scattanti, per alleggerire i fin troppi 90 secondi di montaggio. Non solo: vengono alternati in sequenza primi piani a piani a mezzo busto fino a quelli totali. In questo modo, il contenuto resta accattivante e desta l’attenzione degli utenti.
Il tono di voce si lega perfettamente alle precedenti due caratteristiche. Tendenzialmente informale, Hadja Lahbib enuncia con sottile ironia fra un oggetto e l’altro mentre verso il finale del video rientra in ranghi comunicativi mediamente più seri per veicolare il messaggio finale “Be prepared. Be safe.” Alla luce di ciò, la domanda sorge spontanea: è normale che un contenuto di questo tipo venga ideato, scritto, diretto e montato a favore di social?
Tecnicamente sì, eticamente no. Tecnicamente sì perché se l’obiettivo è comunicare nel 2025 a più utenti possibili non si può prescindere dal farlo inserendo i social, TikTok in primis. Eticamente no, perché un discorso così delicato come la sicurezza in caso di crisi bellica non può essere veicolato in questo modo. Bisognerebbe avere più rispetto di alcune tematiche, anche quando sono state pensate per alimentare un senso di critica precarietà che, fortunatamente, al momento non è pervenuta se non nell’agenda setting di una Ue votata al riarmo.