La spada di Damocle dei dazi statunitensi continua a incombere sui mercati. Dopo il crollo delle Borse mondiali in scia all’annuncio di Donald Trump martedì scorso, anche la prossima settimana investitori, famiglie e imprese osserveranno qualsiasi cenno della Casa Bianca e le eventuali ritorsioni degli altri Paesi per capire cosa aspettarsi. Lunedì i ministri del Commercio della Ue, le cui esportazioni oltreoceano subiranno un dazio del 20%, si riuniranno in Lussemburgo per discutere su come reagire. La prima mossa ufficiale è attesa però per mercoledì 9, quando le tariffe reciproche entreranno in vigore e i Ventisette saranno chiamati a votare una prima serie di contromisure mirate in risposta alle tariffe del 25% su acciaio e alluminio in vigore dal 12 marzo.
Un accordo per ridurre la portata dell’offensiva Usa non pare dietro l’angolo. Per quanto riguarda i più pervasivi dazi reciproci, che colpiranno circa il 70% delle esportazioni Ue verso gli Stati Uniti, finora il messaggio arrivato dai vertici della Commissione è duplice: disponibilità a negoziare con Washington, ma volontà di rispondere con decisione se non si arriverà a nulla. Parigi spinge per un pacchetto che vada ben oltre le tariffe e comprenda l’attivazione del cosiddetto strumento anti coercizione, che consentirebbe di impedire alle multinazionali statunitensi di partecipare ad appalti pubblici europei, precludere l’accesso ai mercati assicurativi e finanziari, limitare lo sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale delle Big tech. Il presidente francese Emmanuel Macron ha suggerito che le aziende europee dovrebbero perlomeno sospendere gli investimenti negli Stati Uniti finché “le cose non saranno chiarite”. L‘Italia e altri Paesi sono molto più cauti. E quello strumento potrebbe essere utilizzato solo in presenza di una maggioranza qualificata di Stati membri favorevoli.