Chi paga il ricovero in Rsa per i malati di Alzheimer? Avvocati a confronto tra diritti e denari

Il tema della ripartizione dei costi per la degenza nelle Residenze Sanitarie Assistenziali è tornato al centro dell’attenzione, soprattutto per quanto riguarda i pazienti affetti da Alzheimer. Tra sentenze della Cassazione e normative ancora esistenti, la domanda per le famiglie è sempre la stessa: chi deve pagare? “Le RSA ospitano persone non autosufficienti di età superiore ai 65 anni, offrendo un mix di assistenza sanitaria e servizi alberghieri. Ai sensi della normativa vigente (DPCM 29.11.2001 e DPCM 14.1.2017) le prestazioni erogate presso una RSA sono inquadrabili in quelle di lungoassistenza, finalizzate a mantenere l’autonomia funzionale dell’anziano, rallentando, ove possibile, il suo deterioramento fisico cognitivo – premette l’avvocato Marco Ubezio, esperto in materia sociosanitaria -. Per la suddetta tipologia di prestazione i livelli essenziali di assistenza (Lea) stabiliscono il criterio della compartecipazione al 50% del costo del ricovero tra SSN e utente. Questo principio vale per tutti gli ospiti delle RSA, inclusi i malati di Alzheimer”.
Tuttavia diverse pronunce della Cassazione hanno stabilito che in casi specifici il ricovero di un paziente affetto da Alzheimer può essere considerato totalmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale. “Ma solo se il paziente necessita di un piano terapeutico personalizzato e che dimostri la necessità di cure sanitarie continue e inscindibili da quelle socio-assistenziali – sostiene Ubezio -. D’altra parte, il Consiglio di Stato e altre sentenze di Cassazione meno recenti confermano che i malati di Alzheimer rientrano tra gli anziani non autosufficienti, e dunque il principio della compartecipazione resterebbe al 50%”.
Quindi chi paga? Secondo Ubezio, “nonostante le recenti sentenze abbiano generato dubbi e interpretazioni diverse, la regola generale rimane la stessa: se un malato di Alzheimer è ricoverato in RSA, i costi sono in genere divisi tra SSN e familiari. Solo in situazioni particolari, la giurisprudenza ha affermato che potrebbe essere il SSN a coprire interamente le spese. La questione resta aperta, ma due punti restano fermi: non esiste, almeno per ora, una norma che preveda automaticamente il ricovero gratuito per tutti i malati di Alzheimer e anche nelle ipotesi in cui fosse riconosciuta tale gratuità, gli oneri dell’intero costo del ricovero dovrebbero essere a carico del SSN”.
Più lapidario il collega Francesco Trebeschi che ricorda i dettami costituzionali sulla tutela della salute fisica e psichica dell’individuo e il fatto che “il servizio sanitario è costituito da tutte le funzioni, strutture e attività destinate a promozione, recupero e mantenimento della salute: anche mantenimento, non solo recupero. In altre parole, il Ssn non deve mirare solo alla guarigione e si occupa di tutta la popolazione, quindi non copre solo fino ai 65 anni e non fa distinzione di condizioni individuali o sociali”.
Secondo Trebeschi le sentenze che hanno sollevato il polverone di queste settimane in realtà sono solo le ultime espressioni di un orientamento consolidato da anni, che non fa altro che dare attuazione ai principi cardine del sistema sanitario, che richiede che la cura debba essere garantita senza limiti di durata: “Laddove c’è una cura non rileva la prevalenza o meno delle prestazioni sanitarie rispetto a quelle assistenziali: sono incluse in quelle a carico del servizio sanitario le prestazioni che al momento del ricovero siano necessarie per assicurare al paziente la tutela del diritto alla salute, quindi anche prestazioni di natura sanitaria che non possono essere eseguite se non congiuntamente con quelle assistenziali – sottolinea -. La Cassazione dice che se c’è un piano terapeutico il profilo sanitario prevale, senza necessità di dover pesare le prestazioni sanitarie di più di quelle assistenziali. Sicuramente il problema delle risorse c’è, però a me spaventa un sistema che dice: ‘Io ti curo, ma solo fino a 65 anni’. Sicuramente c’è un problema di finanziamento, ma la vera questione è che trasformare il diritto alla salute in un lusso è estremamente pericoloso anche per la pressione sociale che ne deriva: è la più plastica espressione della deriva verso una cultura dello scarto”.
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